ROMA – Trenta anni fa, nel 1981, gli investimenti fissi della pubblica amministrazione ammontavano al 3,5% del Pil. Il Documento di economia e finanza appena varato dal governo prevede per il 2011 un rapporto pari al 2%, con una previsione di ulteriore calo, all’1,6%, dal 2012 e per il biennio successivo. «La dimensione della contrazione è significativa, ed evidenzia come già l’aggiustamento fiscale dei primi anni Novanta avesse operato in maniera in parte asimmetrica, penalizzando in proporzione più la spesa per investimenti che quella corrente». A scriverlo è l’ultimo numero di Finanza locale Monitor, realizzato dal servizio studi e ricerche di Intesa San Paolo e curato da Laura Campanini. Il rapporto si sofferma sugli effetti di questo «andamento stagnante della spesa pubblica in conto capitale» e dello «schiacciamento della spesa in conto capitale» rispetto alla spesa corrente. Valuta anzitutto gli effetti quantitativi sullo stock di capitale pubblico. «I dati dell’Istat – dice il rapporto – segnalano una leggera ripresa nei primi anni Duemila rispetto alla caduta degli anni Novanta, ma nel complesso si quantifica un dato prossimo al 50% del Pil». È la competitività dei territori a risentire maggiormente di questo trend, con una penalizzazione crescente del sud. Ma la sottrazione di crescita indotta dal taglio degli investimenti pubblici non è solo quantitativa. A essere frenato è lo sviluppo economico inteso «in senso ampio, associando alla nozione di crescita misurata dal reddito, e quindi da indicatori aggregati come il Pil, quella di sviluppo sostenibile a livello sociale e ambientale». Sono presi in considerazione gli investimenti degli enti locali che maggiormente creano ritardo di competitività e sostenibilità rispetto agli altri paesi europei. Si guarda al concetto di «crescita inclusiva». Se dal 1993 ricomincia a crescere il numero di pedoni morti o feriti sulle strade italiane dopo una caduta verticale dei precedenti venti anni, come indice di città poco vivibili, il numero di chilometri di metro e ferrovie suburbane ci vede ben lontani dagli altri paesi europei. Milano è undicesima e Roma diciassettesima per numero di chilometri di metro e le due città sono appaiate al 12-13esimo posto per le ferrovie di superficie. La Germania ha un totale di 32,3 chilometri di metro e ferrovie suburbane per milione di abitanti con 122 linee, l’Italia 12,5 con 43 linee. Non va meglio con le scuole, che hanno avuto una caduta della spesa per investimenti di un terzo, a partire dal 2002. Forti le disparità territoriali rispetto a una spesa media per investimenti degli enti locali nell’istruzione di 269 euro pro capite: nel nord 342 euro, nel centro 252, nel mezzogiorno 195. Nel sud si riscontra anche una percentuale maggiore di edifici scolastici che necessitano di interventi di manutenzione urgente: il 45% contro il 21% al nord e il 26% al centro, nonostante gli edifici localizzati nel mezzogiorno siano mediamente più recenti degli altri. Lo squilibrio non è meno forte con gli asili nido per cui le regioni del sud presentano una percentuale di comuni coperti dal servizio inferiori al 33% (con minimi di 4% in Molise, 10% in Calabria e 13% in Sardegna e Campania) contro l’82% della Val d’Aosta e il 66% della Toscana. Percentuali simili per le strutture di servizi agli anziani dove la Calabria ha una copertura del 3% e il Piemonte del 96%.
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