Il punto più basso è stato raggiunto nel 2007: i vigili quell’anno avevano staccato multe per 5,5 milioni, ma il Comune ha incassato meno di 92mila euro, le bollette dell’acqua valevano 14 milioni ma le entrate vere si sono fermate a 127mila euro, e così via. Da allora la macchina della riscossione reggina, affidata alla Reges, ha provato a risalire la china, ma fra polemiche ricorrenti sulle “cartelle pazze” i risultati certificati nei conti del Comune non sono eclatanti: anche nelle imposte (Ici, Tarsu e così via), che sono la voce più “tranquilla”, su cui i Comuni tra competenza e arretrati incassano in media una somma maggiore rispetto a quanto accertano nell’anno, Reggio Calabria si ferma al 63%. Sulle tariffe dei servizi pubblici, la situazione è ancor meno brillante: dovrebbero portare quasi 23 milioni all’anno, nell’ultimo consuntivo chiuso, quello del 2009, ne hanno prodotti 9,2 (il 40,7%), le solite multe hanno prodotto verbali per 6,9 milioni e pagamenti per 1,2 (il 17,4%), sono partite bollette dell’acqua per 13 milioni ma ne sono arrivati in cassa solo 5 (il 38,5%). Problemino: nei bilanci preventivi gli equilibri vengono trovati in base alle somme accertate, ma poi la vita reale del Comune (gli stipendi, i pagamenti alle imprese eccetera) va alimentata ovviamente con i soldi riscossi davvero. Una capacità di riscossione ai minimi accumula residui crescenti di anno in anno, e impone assestamenti sempre più importanti per chiudere i consuntivi. Problemino aggiuntivo: la riforma in arrivo avvicina competenza e cassa, cioè accresce il ruolo degli incassi veri a scapito delle entrate «giuridiche».
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