Le elezioni amministrative sono imminenti. Si vota in 1177 Comuni e 9 Province. Le elezioni saranno un’opportunità per aumentare la presenza femminile nelle amministrazioni locali? Avremo più donne alla guida dei nostri Comuni? Le candidature femminili nelle grandi città sono cresciute di circa il 10% – per effetto di un incremento del 30% circa nelle liste del centro-sinistra e del 10% in quelle di centro-destra – rispetto alla tornata precedente (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 9 maggio), ma basterà questo per convincere gli elettori? L’empowerment politico femminile è un tasto dolente in tutti i Paesi. Secondo i dati del World economic forum, solo il 18% della distanza tra il potere politico maschile e femminile nei Parlamenti e Governi nazionali è stato colmato. Le donne nel Parlamento europeo sono il 35%, ma se guardiamo ai singoli Paesi si passa, per la Camera dei deputati (o camera unica) da percentuali superiori al 40% in Svezia, Olanda, Finlandia al 21% italiano. Come evidenziano i dati, le difficoltà di essere eletti al Senato sono maggiori: in Italia solo il 18% delle donne ce la fa e, con l’eccezione di Finlandia, Spagna – che negli ultimi anni per precisa volontà politica ha fatto passi da gigante – Norvegia, Svezia e Belgio, meno del 30% dei ministri è donna. In Italia le ministre sono cinque, di cui tre senza portafoglio. Ma cosa succede a livello locale? Un’ipotesi da esplorare potrebbe essere che alle poche donne elette o con incarichi di governo a livello nazionale o federale corrisponde però una loro presenza più significativa a nelle amministrazioni locali. L’ipotesi di scuola è che poiché le donne si sono affacciate più tardi degli uomini nell’ambito della politica, stanno facendo ancora la gavetta nelle amministrazioni locali, poi, eventualmente, approderanno in numeri maggiori a Parlamento e Governo nazionale. A confermare questa ipotesi guardiamo il caso della Francia: la rappresentanza femminile in Parlamento è ferma a circa il 20%, mentre le donne rappresentano il 48% nei consigli regionali. Questo non sembra tuttavia accadere nel nostro Paese. Nelle Province le donne sono solo il 12% dei consiglieri e il 6% degli assessori; nei Comuni il 19% dei consiglieri e il 6% degli assessori. Il valore più alto di assessori si registra in Emilia Romagna, dove comunque non superiamo l’11% di donne nelle giunte comunali. Qualche cambiamento nel tempo c’è stato. Mentre negli anni 80 solo tre donne su 100 avevano la carica di sindaco, gli ultimi dati disponibili indicano che il numero di donne sindaco è salito a circa 10 su 100. La crescita della rappresentanza femminile è stata simile tra le varie aree del Paese. I sindaci donna guidano con più probabilità Comuni dove il livello di reddito è più elevato, al Nord piuttosto che al Sud; grandi o piccoli non fa differenza. Ci auguriamo che le prossime elezioni confermino e accelerino il trend positivo. Ma guardando i nomi dei candidati sindaco nelle principali città non ci aspettiamo (purtroppo) grandi rivoluzioni di genere. Peccato. Perché le donne in politica possono rappresentare un’opportunità di rinnovamento e miglioramento della qualità della classe politica. Il numero medio di anni di studio delle donne italiane presenti nelle amministrazioni locali è superiore a quello degli uomini. Come nel mercato del lavoro, è attivo un meccanismo di selezione positiva, per cui solo le donne più qualificate sono presenti in politica. Se gli anni di studio sono una proxy della qualità dei politici, come suggerito da molti studi recenti, un maggior numero di donne in politica, partendo dalle amministrazioni locali, potrebbe avere effetti positivi sui Governi del nostro Paese. Possiamo perdere questa occasione?
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