MILANO – La nave cambia rotta. Lentamente, come si addice alle sue dimensioni, e con più di un’esitazione, inevitabile vista la complessità della macchina; la maxi-cura a tappe imposta al pubblico impiego, però, comincia a tradursi in numeri, puntualmente registrati nella relazione annuale sui costi del lavoro statale e territoriale della Corte dei conti, diffusa ieri. Il personale, prima di tutto, comincia a diminuire, soprattutto nel settore statale: a fine 2009 gli uffici pubblici ospitavano 3,53 milioni di persone, con una riduzione del 2% rispetto a 12 mesi prima. Prima di tutto, com’è naturale dopo la revisione degli organici avviata con la manovra estiva 2008, perde peso la scuola, che in 12 mesi ha registrato una flessione del 4,9%, ma si alleggeriscono anche università (-2,8%), enti pubblici non economici (Istat, Aci, enti previdenziali e così via: -2,5%), ministeri (-2,2%), regioni e autonomie (-1,7%). Si riduce, dopo la stagione delle stabilizzazioni, il personale con contratti “flessibili”, con un’eccezione: i lavoratori socialmente utili tornano a crescere e superano le 12mila unità, un livello lontanissimo dai 60mila del 2001 ma in aumento del 9,4% rispetto al 2008. Si attenua anche la dinamica dei costi, che però non ha ancora imboccato la parabola discendente. A consuntivo del 2009 Stato ed enti territoriali hanno dedicato a stipendi, indennità e Irap 165,4 miliardi, lo 0,7 per cento in più rispetto all’anno prima. Nel 2008, complice la pioggia di arretrati legati ai rinnovi contrattuali, l’incremento aveva sfiorato il 10 per cento, per cui anche su questa voce il cambio di rotta è netto: un conto finale che non diminuisce nonostante la riduzione degli organici, però, può indicare qualche problema. La cura, come accennato, è composta da più ingredienti, e i numeri del 2009 mostrano solo gli effetti del primo: quello rappresentato dalla manovra estiva del 2008, che ha ridisegnato gli organici della scuola e stretto sul turn over. La riforma Brunetta (Dlgs 150/2009) e la manovra salvadeficit del 2010, che pongono vincoli ancora più forti alle spese e tagliano in modo lineare una serie di voci, devono ancora farsi sentire, insieme alla spinta ai pensionamenti prodotta con la rateazione delle liquidazioni superiori a 90mila euro. Tocca a queste ultime norme provare a contrastare le dinamiche ancora problematiche che i magistrati contabili mettono in luce nella nuova relazione. Prima di tutto: la riduzione nei numeri si è registrata per ora solo fra il personale non dirigente, mentre «il numero complessivo dei dirigenti resta sostanzialmente invariato». I loro trattamenti accessori, poi, si mostrano ancora difficili da raffreddare, a causa della ricchezza di risorse ancora presenti nei fondi unici per la contrattazione decentrata. I meccanismi seguiti in questi anni appaiono studiati apposta per far correre le uscite: i confini dei fondi unici sono stati determinati in base al numero di dirigenti negli organici teorici e non a quello, inferiore, di quelli effettivamente in servizio (prassi vietata ora dal Dl 78/2010), e il peso della retribuzione accessoria ha continuato a decollare. I «risultati» premiati, poi, sono stati spesso scollegati da una valutazione concreta e basata su obiettivi specifici, seguendo un indirizzo che del resto trova riscontro anche fra il personale non dirigenziale: tra 2001 e 2009, rileva la Corte dei conti, il 75% dei dipendenti pubblici è stato beneficiato da progressioni orizzontali, quelle che fanno crescere la busta paga senza cambiare il numero di stellette sulla giacca, mentre il 40% ha ricevuto una progressione verticale, vale a dire un vero e proprio passaggio di carriera. Tutte dinamiche che la manovra del 2010 blocca per tre anni, insieme ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego.
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