Le reazioni alle nome sulla concentrazione della riscossione nell’accertamento – previste dal decreto legge 78/10, ora parzialmente corrette dal Dl 70/2011 sullo sviluppo – vanno oltre il malcontento dei contribuenti, che comunque non può essere superato con accorgimenti dagli effetti non ancora definiti. C’è insoddisfazione anche dal punto di vista della cultura giuridica: sotto questo profilo, ci troviamo di fronte a un arretramento preoccupante rispetto all’evoluzione che si era avuta in Italia, in tema di riscossione, negli ultimi 50 anni. La riscossione è l’attività che caratterizza il diritto tributario ed è quella che si presta di più alle irrazionalità di sapore fiscale. Questa attività persegue l’interesse pubblico alla sollecita percezione di entrate perché l’ente pubblico possa far fronte alle proprie esigenze di bilancio. Essa perciò deve essere regolare e costante. È una funzione pubblica, non il semplice esercizio di un credito pubblicistico. È stato detto con un’espressione praticistica che «lo Stato è un creditore che non può attendere». La riscossione si muove su un piano diverso da quello dell’accertamento, secondo la sistematica confermata con la riforma del 1971: lo Stato avrà diritto ad acquisire definitivamente solo ciò che avrà definitivamente accertato. La riscossione precede l’accertamento secondo la logica dell’anticipazione: con acconti, con pagamenti in relazione ai diversi gradi di giudizio. Ma il corollario di questo sistema è il rimborso dell’imposta pagata in eccedenza entro termini previsti dalla legge e che, nella pratica, non vengono rispettati. La riscossione ha conosciuto istituti non giustificati dalle esigenze di questa attività e che sono stati eliminati in parte dalla giurisprudenza costituzionale, in parte da una legislazione più attenta ai principi costituzionali. È il caso del divieto della compensazione fra debiti e crediti tributari, oggi ammessa ma non in modo soddisfacente; oppure della preclusione fatta al giudice tributario di sospendere l’atto della riscossione, oggi ammessa; o anche, infine, la regola del solve et repete, il pagamento del tributo quale presupposto dell’azione giudiziaria posta a tutela del contribuente. Una misura definita dalla Corte Costituzionale (18/1961) «particolarmente energica ed efficace al fine della attuazione del pubblico interesse alla percezione del tributo» ma non conforme, «a prescindere dai principi costituzionali, ai principi informatori di un ordinamento moderato in tema di rapporti fra cittadino e Stato». Le esigenze della riscossione non possono essere perseguite in un modo purchessia. Oggi il completamento delle riforme in materia dovrebbe essere dato dalla effettività e tempestività dei rimborsi e dalla pienezza della compensazione fra debiti e crediti. La norma sulla concentrazione della riscossione nell’accertamento sembra muoversi, invece, nella logica (anche se non nella lettera) del solve et repete; il contribuente è costretto a impugnare l’atto, anche se non ne ha motivo per evitare gli effetti dell’accertamento come atto esecutivo, con alterazione della funzione giurisdizionale. Le leggi in materia vengono scritte avendo in mente i vantaggi del solve et repete. Nel testo del decreto 78 emergono due esigenze incontestabili, la lotta all’evasione e l’efficienza della riscossione. Ma questi obiettivi non si perseguono alterando gli istituti giuridici, “concentrando la riscossione nell’accertamento”. La lentezza della riscossione è un problema organizzativo. Negli ultimi tempi si è affermata la tendenza a perseguire le esigenze di gettito alterando gli istituti che dovrebbero rimanere stabili. L’anticipazione si regge su una presunzione di continuità del reddito o di altra attività, di modo che il margine per il rimborso dell’imposta pagata in eccedenza sia ridotto al minimo. La semplice emanazione dell’avviso di accertamento (specie se cautelativo in vista della scadenza) non dice nulla circa la probabilità che il riscosso sulla base di esso corrisponda al dovuto. Una tale probabilità comincia ad emergere solo con la sentenza di primo grado. Sicché per la razionalizzazione del sistema il primo passo da fare sarebbe quello di eliminare la riscossione provvisoria sulla base del-l’accertamento. Il Dl 78/10 è di dubbia legittimità perché una materia del genere non può essere approvata con decreto legge: qui l’urgenza e la necessità è solo la comodità fiscale. Inoltre, la nuova disciplina non riguarda tutti i tributi: neppure la diversità di struttura, dice la Corte, giustifica la disparità di trattamento. Ma è lo stesso articolo 29, lettera h), a dimostrare che la materia è comune a tutti i tributi quando prevede uno o più regolamenti contenenti disposizioni finalizzate a razionalizzare “progressivamente” le procedure di riscossione coattiva di tutti i tributi amministrativi dalla agenzia delle Entrate. Ma la formulazione della lettera h) e gli eventuali regolamenti che dovessero essere emanati sono illegittimi per indeterminatezza e pertanto per contrasto col principio di legalità. A mio parere, occorre una pausa di riflessione e, in ogni caso, il decreto andrebbe riscritto, distinguendo i profili organizzativi che attengono alla riscossione della funzione degli atti, sia a quelli di accertamento che a quelli di riscossione, che va rispettata e può essere modificata solo in una diversa logica sistematica.
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