I mali antichi del Paese tornano sempre nei numeri. Così per l’infedeltà fiscale: non solo l’evasione è alta, ma anche distribuita in modo differenziato sul territorio, con le province e le regioni del Sud che generalmente, anche se non sempre, si collocano nel vagoncino di coda. Lo studio presentato dal Sole 24 Ore mette bene in luce le aree di disobbedienza ai tributi. Gli indicatori di benessere, come misurati dal consumo di alcuni beni di lusso, e il reddito disponibile, non si muovono in modo uniforme sul territorio, con le discrepanze che tendono a crescere via via che si scende lungo lo stivale. Ancora più plateale è l’evidenza che emerge dal confronto tra la distribuzione regionale del gettito Iva sulla base dei consumi privati, come stimato dall’Istat, e la stessa distribuzione calcolata sulla base del quadro VT delle dichiarazioni Iva che ? con tutti i limiti ben noti di questo nuovo indicatore ? cattura in modo più puntuale la vendita di beni e servizi soggetti all’imposta ai consumatori finali nel territorio regionale. Non solo i consumi finali effettivi sono ovunque più elevati di quelli fatturati, ma la distanza assume valori preoccupanti in alcune aree del Paese. Ma se le cose stanno così, non si potrebbe allora approfittare del federalismo fiscale per rendere le amministrazioni locali più responsabili nei confronti delle proprie basi imponibili, così che gli stessi enti locali siano incentivati a porsi in prima linea nel combattere l’evasione fiscale? Il legislatore chiaramente ci spera. Non solo i decreti attuativi della legge delega sul federalismo fiscale, ma anche la legislazione ordinaria degli ultimi anni si è mossa nel tentativo di associare Regioni e Comuni alle politiche di accertamento tributario. Del resto, la stessa scelta di adottare i dati del quadro VT come futuro criterio di riparto per la compartecipazione regionale sull’Iva invece dei consumi Istat, o la nuova decisione di attribuire una compartecipazione comunale all’Iva sembrano rispondere alla stessa logica. Il proposito è encomiabile, l’efficacia più dubbia. Perché l’idea funzioni, è necessario che gli enti territoriali abbiano sia gli incentivi giusti che gli strumenti per agire in modo efficace. Ma questo non è spesso il caso. Per esempio, il nuovo sistema di riparto dell’Iva potrà forse dare in futuro incentivi più robusti alle regioni per recuperare l’evasione nel proprio territorio. Ma non si capisce bene quali strumenti addizionali le regioni possano mettere in campo per intervenire in aggiunta a quelli di cui già dispone l’agenzia delle entrate. Non è nemmeno del tutto ovvio che sia giusto che la nuova distribuzione del gettito Iva debba penalizzare le regioni ad alta evasione. In fondo, non sono le regioni responsabili della maggiore evasione, ma lo sono gli uffici tributari del governo centrale, che evidentemente non fanno il loro mestiere con la stessa efficacia in tutti i territori. Lo stesso si può dire per la compartecipazione attribuita da qualche anno ai comuni nel recupero del gettito dell’Irpef di propri residenti, che infatti ha finora funzionato ben poco. Consentire ai municipi l’accesso all’anagrafe tributaria può essere un utile atto di trasparenza, ma non si capisce bene quale contributo i sindaci possano dare all’accertamento di fattispecie impositive spesso complesse e su cui si annidano evasione e elusione, come per esempio, vari redditi da capitale. In altri casi, non solo gli strumenti, ma anche gli incentivi sono assenti. Attribuire il gettito dell’Iva a livello comunale può essere in linea di principio una buona idea; per le metropoli, per esempio, che offrono servizi anche ai pendolari che non pagano le imposte locali, ma che consumano beni e servizi soggetti a Iva in loco. Ma redistribuire una parte del gettito regionale Iva ai comuni su base pro-capite, come prevede ora la legge per mancanza di dati, elimina del tutto questo beneficio. Ed elimina anche ogni incentivo per il municipio a recuperare l’evasione, perché ogni euro recuperato verrebbe comunque redistribuito in misura pro-capite tra tutti i comuni della stessa regione. Dove gli enti territoriali possono invece dare un contributo importante è nel controllo delle basi imponibili su cui hanno un vantaggio comparato rispetto allo Stato. È il caso per esempio dei redditi immobiliari. Gli uffici comunali hanno, o possono ottenere, informazioni più precise sul valore degli immobili nel loro territorio di quanto possa fare un qualunque ufficio centrale. Le imposte immobiliari sono inoltre tributi semplici da amministrare e controllare, che non richiedono competenze o specializzazioni particolari. Ma se è così, diventa allora ancor più sorprendente la decisione del governo, ribadita dai decreti attuativi del federalismo fiscale, di esentare interamente dalla tassazione locale la maggior parte del patrimonio immobiliare dei municipi, le abitazioni di prima residenza. È evidente che questa scelta riduce gli incentivi al controllo di una parte rilevante della ricchezza nazionale e dei redditi derivanti. Un’altra ragione per ripensarci.
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