Puglia, no al consiglio allargato

Enti locali/1. La Consulta boccia la norma che aumenta il numero dei consiglieri da 70 a 78: «Anticostituzionale»

Il Sole 24 Ore
16 Giugno 2011
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MILANO – Nel consiglio regionale pugliese ci possono essere fino a otto persone di troppo. Colpa del premio di maggioranza inserito nella legge elettorale regionale del 2005, che in nome della «stabilità» permette di assegnare alle liste collegate al candidato presidente uscito vincitore una quota di seggi aggiuntivi. Il meccanismo, mutuato dalle regole elettorali nazionali, si traduce in pratica in una doppia spinta alla maggioranza, che può portare il consiglio regionale a essere più affollato rispetto a quanto previsto dallo Statuto. Su tutto questo, però, ieri è arrivato il «no» della Corte costituzionale, che nella sentenza 188/2011 ha dichiarato illegittimo l’incentivo alla stabilità in salsa pugliese, introdotta dalla Regione allora guidata da Raffaele Fitto qualche mese prima delle elezioni terminate con la vittoria dell’attuale governatore, Nichi Vendola. Proprio il contrasto fra la realtà politica determinata dalla legge, che può portare a 78 posti da consigliere, e quella disegnata dallo Statuto, che invece prevede un massimo di 70 posti, è alla base della bocciatura della Consulta, chiamata in causa da 11 ordinanze gemelle del Tar Puglia. Un consiglio flessibile, che si può allargare in base ai risultati elettorali, non è in sé un problema costituzionale: basterebbe, spiegano i giudici delle leggi, «prevedere espressamente nello statuto la possibilità di aumentare il numero di consiglieri», e nessuno avrebbe più nulla da dire. L’esperienza, del resto, va nello stesso senso, e mostra che per esempio in Calabria e in Toscana il parlamentino «estendibile» è stato previsto dalla Carta regionale, evitando per questa via il contrasto con l’articolo 123 della Costituzione che assegna allo Statuto il compito di definire «la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» della Regione. In un ostacolo simile era incappata la Regione Lazio, uscita dalle amministrative del 2010 con 73 consiglieri eletti e ridotta a 70 più il presidente, come da Statuto, da una sentenza del Consiglio di Stato (senza passare dalla Consulta perché i giudici amministrativi di primo grado e d’appello non avevano nutrito i dubbi di costituzionalità su cui si sono interrogati i colleghi pugliesi). Mentre in regione la giurisprudenza pone qualche limite, negli enti locali i politici in carica e quelli appena accompagnati all’uscita di giunte e consigli dalle elezioni amministrative trovano nuovi spazi nelle società partecipate, grazie alla caduta delle incompatibilità travolte dal referendum di domenica e lunedì insieme alla riforma dei servizi pubblici locali oggetto del primo quesito (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). La cancellazione del regolamento attuativo della riforma, che avrebbe imposto tre anni di pausa prima di poter passare da una giunta al consiglio di amministrazione della partecipata, è destinata a produrre i suoi effetti proprio nei prossimi mesi, quando le nuove maggioranze uscite dalle urne a maggio potranno attuare lo spoil system attingendo anche dai ranghi della politica locale in servizio. La cancellazione integrale della riforma, scritta nel decreto Ronchi del 2009, aumenta però anche il disorientamento degli enti locali, che in molti casi si chiedono che cosa occorra fare degli affidamenti attuali. Per fare ordine, in attesa che il Parlamento chiuda i buchi normativi aperti dal referendum, ieri è intervenuta l’Anci, chiarendo che i Comuni escono dal voto «più liberi di scegliere la formula organizzativa che ritengono più opportuna». Nel novero delle scelte possibili nell’affidamento dei servizi pubblici rientra anche «la gara, in ossequio ai principi europei» sulla tutela della concorrenza. I sindaci, spiega l’Associazione dei Comuni, «sono investiti di una nuova libertà responsabile», ma «non si opporranno a nuovi tentativi di modernizzazione».

LA NORMA CONTESTATA

Il «premio di stabilità»
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 1, lettera j), della legge della Regione Puglia 28 gennaio 2005, n. 2: si tratta delle norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale. Con l’attribuzione del «premio stabilità» alle liste collegate al presidente Nichi Vendola la legge consentiva l’elezione di 78 consiglieri regionali invece dei 70 previsti dallo statuto regionale.

I ricorsi degli esclusi
Alle ultime elezioni regionali che hanno visto la conferma della maggioranza di centrosinistra, la norma censurata dalla Consulta non fu presa in considerazione dall’Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Corte d’Appello di Bari, che applicò lo statuto regionale proclamando eletti 70 consiglieri. Gli esclusi fecero ricorso al Tar pugliese che a sua volta ha sollevato la questione di costituzionalità della norma. dei consiglieri regionali. Ieri la parola definitiva della Consulta.

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