ROMA – Una riduzione dei trasferimenti alle Regioni per la sanità che tra il 2013-2014 sarà almeno di 4 miliardi l’anno. E contemporaneamente un super incremento delle entrate per i ticket pagati dai cittadini, che dai 4,2 miliardi di oggi nel 2012 supereranno i 5,5 miliardi, per diventare un potenziale (e al momento imprecisabile) salasso quando dal 2014 ai ticket regionali si potranno aggiungere altri ticket imposti dallo Stato su tutte le prestazioni sanitarie, chissà se anche sui ricoveri o sul medico di famiglia. Tra più entrate e meno spese, col carico da novanta del federalismo fiscale e dei costi standard alle porte, la sanità italiana darà sempre meno “tutto a tutti gratis”. E reciterà una parte di prima grandezza nella manovra di taglio della spesa pubblica che approda oggi in Consiglio dei ministri. Sebbene ancora da limare e da aggiustare, il capitolo del decretone dedicato alla «razionalizzazione della spesa sanitaria» sembra ormai essere consolidato nelle sue linee essenziali. Tanto da prenotare per questa mattina l’altolà dei governatori, che oltre al delicato (e per loro decisivo) fronte della spesa sanitaria, sono ora alle prese anche con tagli (si veda articolo a pag. 5) che potrebbero valere 2,4 miliardi nel 2013-2014 per quelle ordinarie e 3 miliardi per le “speciali”. Sul versante degli interventi sulla sanità non mancano misure in ordine sparso. Come il riconoscimento alle Regioni di 70 milioni fin dal 2011 per gli accertamenti medico-legali per le assenze di malattia dei lavoratori dipendenti. Ma anche le maggiori tutele, nelle realtà sotto piano di rientro dal deficit, dalle sospensioni dei pignoramenti da parte dei creditori di asl e ospedali. O ancora come l’invito perentorio ai governatori di intervenire (per risparmiare) sui livelli di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie dai privati accreditati. E poi la conferma delle regole stringenti della Finanziaria 2010 sui costi del personale: spese non superiori all’1,4% sul 2004, organici (anche a tempo) necessari, parametri standard per le strutture e il personale di vertice. Magari con eccezioni, se accolte: come quella, anticipata ieri dal ministro Fazio, sulla possibile esenzione dal turn over per i primari nelle Regioni sotto piano di rientro dal debito. Intanto grazie ai ticket il Governo conferma apertamente di voler fare cassa. «Vogliamo scoraggiare l’inappropriatezza delle prestazioni sanitarie», ha affermato ieri Fazio. La partita – oltre alle delicate implicazioni sociali – non sarà sicuramente delle più facili. Il decretone al momento prevede interventi in più fasi. Per quanto riguarda il superticket da 10 euro su visite specialistiche e analisi, assegna alle Regioni 486,5 milioni per la non introduzione della misura da giugno a dicembre di quest’anno. Ma dal 1 gennaio del 2012 lo Stato non interverrà più, proroghe di fine anno (il solito milleproroghe?) a parte: le Regioni o si pagheranno da sé (con poche risorse) i 900 milioni necessari, o faranno rinascere il super balzello introdotto con la Finanziaria 2007 da Prodi-Turco o ancora introdurranno micro ticket compensativi. Quanto al ticket da 25 euro sull’accesso ai pronto soccorso per i “codici bianchi” (prime prestazioni non gravi) non seguite da ricovero, nulla cambia: la misura (si veda la tabella) è ormai applicata quasi ovunque con la sola eccezione del Molise. In una vera e propria giungla di ticket e di esenzioni – dai farmaci alla franchigia per analisi e specialistica – che vede in genere il Sud pagare di più, soprattutto nelle regioni commissariate che per sovrappeso hanno anche le addizionali Irpef e Irap oltre il tetto massimo. Una Babele, quella dei ticket, che peraltro aumenta di continuo il suo gettito, ultimamente sui farmaci col prezzo di rimborso sui generici. Oggi vale 4,2 miliardi – ma con almeno 1 miliardo di evasione l’anno dei falsi esenti – e nel 2012 crescerà quasi di 1,5 miliardi. Per non dire di quanto potrà avvenire dal 2014, quando i ticket aggiuntivi a quelli già esistenti potrebbero arrivare a valanga per tutte le prestazioni sanitarie, per garantire la copertura del 47% della manovra di quell’anno. Una sfida che è solo in apparenza rimandata di 30 mesi.
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