La riduzione delle risorse accessorie in proporzione al personale cessato, secondo l’interpretazione della Ragioneria generale dello Stato, rischia di portare in squilibrio il fondo per la contrattazione decentrata. La manovra estiva 2010 non solo bloccava le risorse disponibili per il triennio 2011-2013 al valore del 2010 ma ne imponeva anche un taglio automatico in «misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio». Dettato il principio, si tratta di capire come effettuare i calcoli. Le istruzioni operative contenute nella circolare 12/2011 fanno riferimento al valore medio dei dipendenti presenti in servizio calcolato come semisomma dei presenti il primo e l’ultimo giorno dell’anno. In pratica la riduzione avviene “per teste” come se la cessazione avvenisse sempre a metà anno. Abituati a criteri cervellotici in questo caso il calcolo risulta di una semplicità disarmante ma non senza conseguenze. I problemi nascono nel momento in cui il dipendente che cessa attinge dal fondo una quantità di risorse inferiori alla media. Si pensi alla cessazione di un dipendente in posizione iniziale di accesso in un ente con dirigenza. Con ogni evidenza il valore medio delle risorse utilizzate saranno decisamente inferiori a quelle medie, non fosse altro perché sul fondo è finanziato anche il salario delle posizioni organizzative. La soluzione è una sola: si dovranno rivedere al ribasso le risorse a beneficio degli altri dipendenti. Anche se questo è praticabile fino ad un certo punto. In un ente che abbia saturato il budget disponibile a favore degli istituti stabili (progressioni e comparto), qualora cessi un dipendente senza progressione, il fondo si trova automaticamente in situazione di squilibrio: a fronte di una decurtazione pari a un utilizzo medio, si avrà un risparmio reale decisamente inferiore. Ed il problema non ha più una soluzione. Se da una parte, infatti, la riduzione va fatta sulla scorta delle istruzioni della Ragioneria, dall’altra non è pensabile che si mettano in discussione istituti giuridici stabili legittimante riconosciuti ai dipendenti negli anni pregressi. Il problema si amplifica ulteriormente per le cessazioni che si realizzano a fine anno. È diffuso che i dipendenti accedano al pensionamento con decorrenza 31 dicembre, al fine di evitare eventuali effetti negativi derivanti dall’applicazione di nuove norme che generalmente decorrono dal 1° gennaio e contemporaneamente per beneficiare della perequazione automatica con effetto sempre dall’inizio dell’anno. Anche se il pensionando assorbisse risorse esattamente pari alla media, il fondo si troverebbe in squilibrio per il fatto che la riduzione è parametrata al semestre mentre il dipendente è rimasto sostanzialmente in servizio per l’intero anno. Sul punto risulta più ragionevole la posizione della Corte dei conti Lombardia 324/2011 secondo la quale la riduzione per i cessati in corso d’anno deve avvenire con il criterio del pro rata temporis e non come media dei dipendenti in servizio. Ancora più complessa la situazione che deriva dal caso in cui l’ente, non avendo rispettato il patto di stabilità o non avendo ridotto le spese di personale, non possa integrare le risorse stabili con quelle variabili.
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