MILANO – È illegittima la norma del «pacchetto sicurezza» del 2009 che impone allo straniero di possedere un regolare permesso di soggiorno per potersi sposare in Italia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 245/2011 depositata ieri, redatta dal presidente Alfonso Quaranta. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, comma 1 del Codice civile, come modificato dall’articolo 1, comma 15 della legge 94/2009, limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». In pratica, è stata censurata la disposizione per cui, oltre al nulla osta rilasciato dal Paese d’origine, lo straniero che intenda sposarsi in Italia deve presentare all’ufficiale dello stato civile anche il permesso di soggiorno in regola. Previsione, che viola, secondo la Consulta, gli articoli 2, 29 e 117 della Costituzione. A sollevare la questione di legittimità dinanzi alla Corte è stato il Tribunale di Catania, a cui si erano rivolti una cittadina italiana e un cittadino marocchino dopo che l’ufficiale di Stato civile si era rifiutato di celebrare il loro matrimonio: il 27 luglio 2009 erano state chieste le pubblicazioni, e il 31 agosto avrebbe dovuto svolgersi il matrimonio. L’8 agosto dello stesso anno, però, è entrata in vigore la legge 94/2009, che prevedeva l’aggiunta del regolare permesso di soggiorno dello straniero ai documenti già presentati. La Corte Costituzionale, citando fra i precedenti la sentenza 249/2010, ribadisce che «i diritti inviolabili» previsti dall’articolo 2 della Costituzione «spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», cosicché «la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi». La Corte riconosce, che, come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, la norma introdotta nel 2009 nel Codice civile aveva la ratio di contrastare i «matrimoni di comodo», sottolineando, però, che il sacrificio imposto alla libertà di contrarre matrimonio riguarda non solo gli stranieri ma anche gli italiani. «La limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel nostro Paese – si legge nella sentenza – si traduce anche in una compressione del corrispondente diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto intende esercitare». Tanto più, sottolinea la Consulta, che il Testo unico sull’immigrazione «già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti matrimoni di comodo». Infine, la Consulta richiama la sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo del 14 dicembre 2010, secondo cui «il margine di apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, a un diritto fondamentale» garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
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