E’ legittima la reiterazione dei contratti a termine nella scuola. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Perugia con una sentenza depositata il 16 luglio scorso (341/2011). La pronuncia si pone in aperto contrasto con la prevalente giurisprudenza di merito di primo grado, incline a ritenere che la successione di contratti di supplenza nella scuola sia illegittima. Perché violerebbe le disposizioni comunitarie e l’art.5 del decreto legislativo 368/2001. Non di meno, il collegio ha smontato una per una tutte le argomentazioni poste a sostegno della pronuncia di I grado, che, per contro, aveva accolto il ricorso presentato da un precario, disponendo il risarcimento del danno da mancata conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Ecco come si sono svolti i fatti. Il fatto. Un lavoratore precario della scuola aveva presentato ricorso al giudice del lavoro per ottenere l’immissione in ruolo o, in subordine, il risarcimento del danno da mancata immissione in ruolo. Il ricorrente aveva fondato la sua pretesa facendo presente di avere prestato servizio più o meno ininterrottamente nella scuola con contratti di supplenza. E dunque, l’amministrazione scolastica, reiterando sistematicamente i contratti di supplenza, secondo il ricorrente, aveva violato la normativa comunitaria e l’articolo 5 del decreto legislativo 368/2001. Che vietano la reiterazione. In primo grado il lavoratore aveva ottenuto l’accoglimento del ricorso, ma il giudice, conformando la propria decisione all’orientamento prevalente, aveva rigettato la richiesta di immissione in ruolo (reintegrazione in forma specifica) e aveva disposto solo il risarcimento del danno in denaro (risarcimento per equivalente). L’amministrazione, quindi, aveva impugnato la sentenza di I grado e la Corte d’appello ha capovolto la situazione, dando ragione all’amministrazione e rigettando le richieste del lavoratore. Le ragioni. Il collegio ha stabilito, in primo luogo, che al personale della scuola non si applicano le disposizioni contenute nel decreto legislativo 368/2001. Ciò perché il reclutamento del personale docente è regolato da norme speciali contenute nella legge 124/99 e nel decreto legislativo 297/94, oltre che nei provvedimenti amministrativi emanati in tale materia dal ministero dell’istruzione. Tali norme non prevedono la possibilità di convertire i contratti di supplenza in contratti a tempo indeterminato e non violano la normativa comunitaria sui contratti a termine. Perché, da un lato, le disposizioni dell’Unione europea consentono agli stati membri di prevedere sanzioni alternative alla conversione del contratto. In ciò escludendo l’obbligo di convertire i contratti a termine. E dall’altro lato consentono il ricorso a tali contratti in presenza di ragioni obiettive. Ragioni che sono state ritenute sussistenti dai giudici di secondo grado, sulla base della considerazione che l’organico della scuola di anno in anno in anno muta, adeguandosi al numero degli alunni, e poi perché ciò consente di conformare l’operato dell’amministrazione al principio di buona amministrazione previsto dall’art. 97 della Cost., evitando spese inutili. Secondo i giudici: «Per un verso, ragioni di contenimento della spesa pubblica suggeriscono di evitare il sovradimensionamento degli organici», si legge nella sentenza, «così da evitare esuberi di personale e costi inutili nei momenti di calo demografico o di diminuzione, per qualsiasi motivo, delle iscrizioni; per altro verso, la necessità di assicurare la costante erogazione del servizio scolastico, finalizzato al soddisfacimento di un interesse costituzionalmente garantito, rende giustificato e ragionevole il ricorso alle assunzioni a termine». Il principio di buona amministrazione è stato richiamato dalla Corte d’appello anche in virtù del divieto di assumere personale nell’amministrazione senza concorso. Fatto questo che si verificherebbe in caso di stabilizzazione del personale precario derivante dalla conversione dei contratti a termine.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento