Il contributo di solidarietà si rafforza per i parlamentari che svolgono anche un altro lavoro. Detta così, sembra un’assunzione di responsabilità della politica in un momento di difficoltà per il Paese, ma i numeri raccontano un’altra storia. Nella versione originaria della manovra-bis, contenuta nel Dl 138/2011, l’indennità del parlamentare a mezzo servizio era ridotta del 50%; il maxiemendamento governativo votato ieri al Senato fa sparire il dimezzamento, e lo sostituisce con un contributo di solidarietà “hard” (si fa per dire) del 20% per la parte di indennità che supera i 90mila euro, e del 40% per quella che supera i 150mila euro. In soldoni? L’indennità di un deputato viaggia intorno ai 134.124 euro lordi all’anno (diaria, rimborsi viaggio, spese telefoniche eccetera sono fuori dalla partita), per cui la richiesta a chi svolge un doppio lavoro si riduce a poco più di 8.824 euro (il 20% dei 44.124 euro che sforano il tetto del 90mila; il contributo del 40% è destinato a rimanere sulla carta, viste le cifre in gioco), invece dei 67.061 euro di sacrificio annuale che sarebbero stati prodotti dal dimezzamento previsto dalla versione originale della manovra bis: spuntare uno sconto dell’87% in tempi di spread e borse sull’ottovolante non è impresa da poco. Dal contributo dei politici escono poi Quirinale e Consulta. Per carità, non sarà certo questo ennesimo alleggerimento della stretta alle indennità parlamentari a impedire al bilancio pubblico di raggiungere il pareggio per il 2013. L’appuntamento è concordato con l’Europa e nessuno lo mette in dubbio, tranne una frase: l’ultima, spuntata sempre ieri nel maxiemendamento, del nuovo articolo 2, comma 1 della manovra, dove si spiega che il contributo di solidarietà del 3% per i cittadini che dichiarano più di 300mila euro all’anno può essere prorogato con Dpcm (quindi senza passare dal Parlamento) «anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio». Se tutto andrà come previsto, insomma, l’obolo nella versione più leggera approvato ieri durerà tre anni, altrimenti sarà rinnovato fino a quando i conti pubblici non arriveranno all’agognato «saldo-zero». L’ultima versione della super-Irpef attenua poi il doppio prelievo sui dipendenti pubblici e i pensionati, che continuano a essere interessati dalla «loro» versione del contributo di solidarietà che taglia del 5% le quote di reddito superiori a 90mila euro e del 10% quelle che superano i 150mila euro. Il reddito da pensione e da impiego pubblico, secondo il maxiemendamento governativo, rientra nei calcoli sullo sforamento o meno del limite dei 300mila euro che fa scattare il nuovo contributo, ma non è soggetto al taglio. In pratica, un manager pubblico o un pensionato che nel reddito complessivo superiore a 300mila euro (abitazione principale esclusa) contano per esempio uno o più alloggi dati in affitto, si vedranno applicato il nuovo contributo solo sul reddito da locazione e non su quello della busta, che comunque vale ai fini del raggiungimento della soglia. Un meccanismo complicato, che attenua di pochissimo le differenze fra il trattamento riservato a dipendenti pubblici e pensionati e quello previsto invece per lavoratori privati e autonomi. Il primo contributo di solidarietà previsto nel Dl 138/2011 avrebbe cancellato le norme precedenti per gli statali, e il suo tramonto ha riacceso le minacce di ricorsi costituzionali da parte dei diretti interessati.
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