Prevista in forma parziale nella versione originale della manovra, cancellata dal testo che però ha mantenuto il dimezzamento di assessori e consiglieri e rilanciata in forma integrale, l’abolizione delle Province prova a trovare la propria forma definitiva nel disegno di legge costituzionale approvato ieri dal consiglio dei ministri. Gli effetti del tira e molla, uniti alla dieta già prevista dal «decreto enti locali» del 2010, si traducono in un’addio a gradi per questi enti locali. La rasoiata delle Province dalla Costituzione prevista dal disegno di legge approvato ieri cancella 3.320 posti da consigliere, assessore o presidente rispetto all’ordinamento attuale, già alleggerito dal taglio del 20% introdotto due anni fa su iniziativa dello stesso Calderoli. All’atto pratico, però, la tagliola dei posti potrà essere ancora più consistente, perché negli enti che non sono ancora andati al voto dopo la prima cura-Calderoli i consigli, e soprattutto le Giunte, sono più affollate rispetto a quel che prevede la legge attuale: a Isernia per esempio, una delle Province più piccole d’Italia, la legge attuale assegna cinque assessori, ma la Giunta conta ancora otto componenti più il presidente secondo lo schema disegnato dalle normative precedenti. Anche se il Ddl costituzionale dovesse fallire l’impresa dell’approvazione, comunque, 1.546 posti scomparirebbero per effetto del dimezzamento previsto nella manovra bis. In ogni caso, il tramonto delle Province non sarà né immediato né unitario. A decretare la data di scadenza di ogni ente locale sarà la fine dei mandati politici attuali usciti dalle ultime elezioni amministrative. Questo meccanismo, inevitabile quando si prova a cancellare un organo politico, paradossalmente offre la speranza di sopravvivenza più lunga proprio alle Province in cui i politici attuali sono più vicini alla scadenza. Prima di tutto, infatti, occorre portare il testo per due volte alla Camera e al Senato, ed eventualmente aspettare l’esito del referendum se in Parlamento non si troverà la maggioranza qualificata dei due terzi disposta a votarlo. Secondo il disegno di legge approvato ieri, poi, la cancellazione delle Province dalla Costituzione diventa effettiva un anno dopo l’entrata in vigore del provvedimento: in un quadro come questo, a Como, Vicenza, Genova, La Spezia, Ancona e Ragusa, dove le elezioni provinciali sono in programma per il prossimo anno, si può quindi nutrire la ragionevole certezza di un ulteriore mandato amministrativo, con l’addio definitivo alle Province in programma solo per il 2017. Ma quanto si risparmia cancellando le Province? Alla fine, tra indennità, gettoni e assegni di fine mandato la cancellazione integrale delle Province, con l’unica eccezione di Trento e Bolzano dove la Provincia autonoma ha un ruolo più pesante, dovrebbe chiudere un rubinetto da circa 113 milioni all’anno secondo i calcoli governativi. Non è detto, però, che i risparmi effettivi saranno davvero quelli, perché le Regioni saranno chiamate a introdurre nuove forme associative per sostituire le Province in pensione. La stessa discussione che si è accesa in consiglio dei ministri fra il titolare della Cultura Giancarlo Galan e il collega alla Semplificazione Roberto Calderoli mostra che la partita è aperta, e le «Province regionali che assomiglieranno alle attuali Province delle Regioni a statuto speciale», dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, confermano che il risultato finale è ancora tutto da scrivere, incertezze della navigazione parlamentare a parte. Per il momento, il disegno di legge offre una sola “certezza”: che da tutto il giro di giostra dovrà derivare «una riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi».
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