Prende corpo il decreto legge infrastrutture o, come si dice in questi giorni nei corridoi di Via Venti settembre, la “Tremonti infrastrutture”, opera prima del ministro dell’Economia in un settore che in passato ha più frenato che accelerato. Tremonti si è davvero convinto da alcuni mesi (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 giugno) della necessità di rilanciare le grandi opere per sostenere la crescita, sia pure senza gravare sul debito pubblico. Capitali privati è la soluzione che si cerca e per far decollare il project financing, di cui si parla da anni in Italia senza troppi risultati, è necessario un segnale forte: incentivi fiscali. Nell’idea di Tremonti, questi incentivi riguardano l’Irap e l’Ires nella fase di costruzione e di gestione dell’opera, ma non l’Iva, che non si tocca, come invece piacerebbe al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli. Nello schema tremontiano gli incentivi dovrebbero sostituire seccamente i contributi diretti statali e dovrebbero riguardare, in una prima fase sperimentale, soltanto 8-10 opere. Alle otto autostradali già note, si potrebbero però aggiungere due ferrovie: la Napoli-Bari e la Milano-Padova ad alta velocità. C’è anche chi propone, al ministero dell’Economia e alla Cassa depositi e prestiti, di eliminare il “numero chiuso” per sperimentare i nuovi incentivi su un campione più ampio di opere. Oggi la “Tremonti infrastrutture” dovrebbe finalmente decollare. L’occasione è l’incontro con Confindustria e Abi dove il ministro dovrebbe presentare almeno le prime idee trasformate in norme di legge. Queste prime bozze dovranno tener conto anche del “pacchetto Matteoli-Castelli” che, in nome della collegialità di governo ribadita ieri in tutte le sedi politiche, dovrebbe fondersi con il “pacchetto Tremonti”. Poco importa, almeno nel palazzone ottocentesco di Porta Pia, che il nome al provvedimento lo dia il titolare dell’Economia. Per loro è importante decollare, rispondere alle imprese che fanno pressione e magari inserire nel pacchetto una buona parte dei 20 articoli con cui si presenteranno oggi all’incontro. Tra le altre misure che dovrebbero confluire nel decreto ci sono facilitazioni per favorire il collocamento di bond delle società di progetto (i futuri concessionari), la possibilità per le compagnie di assicurazioni di impiegare parte delle riserve tecniche negli investimenti infrastrutturali, la possibilità di usare la cessione di immobili pubblici come contropartita nelle concessioni, le accelerazioni procedurali per le delibere Cipe (e la loro attuazione quando stanziano fondi), le semplificazioni nell’approvazione dei progetti delle concessionarie autostradali. C’è poi l’altra partita, quella delle risorse. Il «fondo infrastrutture» è stato ricaricato dalla manovra di luglio di 4.930 milioni per cui il ministero delle Infrastrutture ha già definito uno schema di ripartizione nell’allegato al Documento di economia e finanza: a essere premiate sarebbero soprattutto le due nuove tranche del terzo valico e della Treviglio-Brescia, con 2,1 miliardi complessivi. Altri 600 milioni andrebbero alle manutenzioni di Anas e Rfi, 1,4 milairdi a interventi urgenti nel Sud, 200 milioni agli interventi nelle città, 100 milioni alla logistica. La preoccupazione del ministero delle Infrastrutture è, però, soprattutto che quei fondi non finiscano nei tagli che Tremonti deve fare ai ministeri per 6 miliardi. La stessa preoccupazione esprimerà stamattina il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, nella sua relazione all’assemblea annuale dell’asociazione dei costruttori. Da una parte farà una strenua difesa delle poche risorse destinate al settore, dall’altra trasmetterà al Governo l’ennesimo richiamo a una distribuzione dei fondi disponibili che non premi solo le grandi opere e non penalizzi gli interventi di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio.
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