Un ente locale può accogliere la richiesta, presentata da un dipendente, di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (contratto di lavoro con il quale lo stesso era stato originariamente assunto) tenuto conto che l’incremento di spesa che ne deriverebbe si porrebbe in contrasto con i vincoli posti dalla normativa applicabile agli enti di minori dimensioni ex art. 1, comma 562 della legge n. 296/2006, nonché con il parametro tra spesa di personale e spese correnti, stabilito dall’art. 14, comma 9 del dl 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010?
La disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale è contenuta nell’art. 4 del Ccnl del 14/9/2000, e in particolare, nei commi 14 e 15, che regolano rispettivamente il caso del dipendente già assunto a tempo pieno e che successivamente abbia chiesto la trasformazione del rapporto a tempo parziale e il caso del dipendente assunto direttamente a tempo parziale. Nel caso di specie, trova quindi applicazione il comma 14, secondo cui il dipendente ha diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero, oppure prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico. La clausola contrattuale, che riproduce il testo dell’art. 6, comma 4, del dl 28/3/1997, n. 79 convertito in legge 28/5/1997, n. 140, riconosce, quindi, un vero e proprio diritto soggettivo il cui soddisfacimento non può essere autoritativamente differito.
Come sostenuto dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, nella deliberazione n. 002/2009/Par, «ammettere la comprimibilità di tale diritto significherebbe ammettere la comprimibilità di tutti i diritti sorti in base a disposizioni vincolanti, di fonte legale o contrattuale, che incidono sulla spesa di personale».
L’ente locale, sempre secondo le indicazioni della stessa Corte, dovrebbe tenere conto, sin dal momento della stesura del bilancio di previsione, della possibilità che venga esercitato «il diritto del personale in part-time alla ricostituzione del tempo pieno alla scadenza del biennio e, conseguentemente, adottare le necessarie iniziative di contenimento di altre componenti della spesa di personale al fine di rispettare i vincoli derivanti dalla legislazione finanziaria».
L’ente locale dovrà, pertanto, adottare quelle misure, di sua esclusiva pertinenza, che consentano di rispettare, nel contempo, gli obblighi di matrice contrattuale e le misure di contenimento della spesa pubblica stabilite dalle manovre finanziarie.
TURNOVER
Un ente locale, soggetto alle norme del patto di stabilità e con un’incidenza delle spese di personale rispetto alla spesa corrente pari al 27,98%, può conteggiare anche le cessazioni verificatesi negli anni pregressi ai fini del calcolo del turnover del settore di polizia municipale per le assunzioni da effettuarsi ai sensi dell’art. 1, comma 118, della legge n. 220/2010?
L’art. 1, comma 118, della recente legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011), aggiungendo un periodo al comma 7 dell’art. 76 del dl 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successivamente modificato dal richiamato dl 78/2010, ha previsto la possibilità, per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35% delle spese correnti, di effettuare le assunzioni per turnover che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dall’art. 21, comma 3, lett. b), della legge 5 maggio 2009, n. 42, in deroga al 20% e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale.
Dalla formulazione della norma soprarichiamata, non appare possibile utilizzare nel calcolo del turnover i posti che si sono resi vacanti negli anni pregressi, dovendosi fare esclusivo riferimento alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente, come espressamente indicato dal comma 7, dell’art. 76 della legge n. 133/2008.
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