Via libera tecnico nella commissione per l’attuazione del federalismo fiscale al Dpcm che riscrive i conti degli enti locali, per introdurre i principi dei bilanci aziendali in contabilità economica e scrivere il bilancio consolidato in grado di mostrare le performance della holding-Comune, rappresentata dall’ente locale e dalle società partecipate. Il decreto attua la nuova disciplina dei conti locali, prevista dalla riforma della contabilità pubblica (e fissata per gli enti territoriali dal Dlgs 118/2011), che dovrà entrare a regime nel 2014 e sarà anticipata da una prova sul campo già dall’anno prossimo. Il testo è atteso prima di fine mese in Conferenza unificata per il via libera definitivo, ma intanto prende corpo la sperimentazione, che dovrebbe coinvolgere 40 Comuni (la maggioranza dei capoluoghi di Regione, più alcuni capoluoghi di Provincia ed enti più piccoli per avere un quadro completo) e sarà accompagnata da un incentivo: per ora sul piatto ci sono 20 milioni di euro, ma la trattativa fra Governo e amministratori è ancora aperta. Due i punti chiave dei nuovi conti locali: la «competenza breve», che impone di iscrivere a bilancio solo le entrate e le uscite per i quali scade l’obbligazione giuridica nell’anno, ripulendo drasticamente la massa dei residui attivi e passivi, e il consolidamento dei bilanci fra Comuni e società partecipate. Un tema, questo, indispensabile per superare i limiti attuali dei conti locali, che ignorano il peso crescente delle realtà aziendali dei sindaci, ma che desta più di una preoccupazione: la cautela si nota anche nel testo del provvedimento approvato ieri dalla Copaff (la commissione per l’attuazione del federalismo fiscale). Il decreto permette agli “sperimentatori” di rinviare al 2013 la contabilità economica, e chiede di consolidare le partecipazioni superiori al 20% (10% nelle quotate); sono però considerate “irrilevanti”, quindi non consolidabili, le società in cui il totale dell’attivo, il patrimonio netto e i ricavi caratteristici incidono per meno del 20% sulla posizione patrimoniale ed economico-finanziaria del Comune. Un criterio, questo, che nei Comuni più grandi rischia di escludere dal perimetro di consolidamento quasi tutta la rete delle partecipazioni.
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