MILANO – La class action pubblica inizia ad aprire qualche breccia nell’inerzia delle amministrazioni. Il Tar della Basilicata, con sentenza n. 478 ha infatti certificato il diritto dei cittadini a un settore pubblico minimamente digitalizzato, accogliendo l’azione avviata da un’associazione («Agorà digitale») per imporre alla Regione Basilicata l’adozione della Pec come via possibile nel rapporto con i privati. L’associazione chiedeva l’accertamento del disservizio prodotto dalla mancata pubblicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata sulla home page del sito istituzionale della Regione e la conseguente impossibilità di utilizzo della posta elettronica certificata per le comunicazioni all’ente. I giudici hanno accolto la richiesta, fornendo innanzitutto una serie di importanti indicazioni operative sull’utilizzo dello strumento introdotto nel 2009 con il decreto legislativo n. 198. A poter proporre l’azione sono le associazioni dotate di sufficiente rappresentatività degli interessi diffusi di una particolare categoria di utenti. Esclusi i partiti e i movimenti politici quindi, come i radicali che avevano presentato analoga richiesta al Tar. Se poi il proponente è una persona fisica, il suo interesse e la sua omogeneità rispetto alla classe vanno dimostrati in concreto, mentre se è un ente a tutela di una posizione collettiva «non occorre indagare anche sulla sussistenza dei requisiti di concretezza, attualità e immediatezza della lesione». Insomma, è la stessa rappresentatività dell’ente rispetto a una particolare categoria di utenti o consumatori a permettere di verificare l’omogeneità del suo interesse rispetto a quello della class che dichiara di rappresentare. E poi la pronuncia compie un passo in più per accertare se, sul punto della digitalizzazione, esiste un obbligo in capo alla Regione rimasto inadempiuto. Risposta affermativa. Dopo una ricostruzione normativa che si conclude con le «Linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni». In queste ultime si precisa, tra l’altro, che l’elenco delle caselle di posta elettronica certificata sia costantemente disponibile all’interno della testata. In sintesi, alla Regione può essere richiesto «l’obbligo di soddisfare la richiesta di ogni interessato a comunicare in via informatica tramite posta elettronica certificata e quindi, a monte, l’obbligo di adottare gli atti di carattere tecnico ed organizzativo finalizzati alla pubblicazione sulla pagina iniziale del sito degli indirizzi di posta elettronica certificata e a consentire l’effettiva, concreta ed immediata possibilità di interagire con l’ente attraverso tale modalità di comunicazione elettronica». L’inerzia della Regione Basilicata, per il Tar, ha poi come ricaduta la preclusione di un canale oggi fondamentale nelle comunicazioni tra pubblica amministrazione e cittadini. Un vero e proprio disservizio, per eliminare il quale è utilizzabile la class action, che costringe gli interessati a recarsi personalmente presso gli uffici e a utilizzare la carta per ricevere e inoltrare documentazione e comunicazioni. A essere compresso è poi il diritto del cittadino a partecipare al procedimento amministrativo, visto che il Codice dell’amministrazione digitale consente di esercitare questi diritti procedimentali anche attraverso gli strumenti di comunicazione telematica. Come pure da valutare è l’effetto sulla disciplina delle notificazioni. Da qui la condanna inflitta alla Regione e cioè quella di rendere disponibile la casella di Pec entro 60 giorni.
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