È un decimo compleanno tra luci e ombre quello che il nuovo titolo V si accinge a festeggiare. Domani la riforma della Costituzione voluta dal centro-sinistra e confermata da un referendum popolare compirà 10 anni. Ma non tutti i nodi sono stati sciolti. Se, da un lato, il federalismo fiscale è ormai a un passo dal traguardo, dall’altro, la confusione sul “chi fa che cosa” ingenerata dalla competenza concorrente di Stato e Regioni su un elenco sin troppo lungo di materie fa ancora sentire i suoi effetti. Come testimonia la mole di ricorsi alla Consulta per i conflitti di attribuzione che, come racconta l’altro articolo in pagina, non accenna affatto a diminuire. Luci e ombre dunque. Partiamo dalle prime. Il principale merito della riforma del 2001 è stato, attraverso l’articolo 114, quello di porre sullo stesso piano le varie articolazioni della Repubblica: Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni. Offrendo così un ombrello costituzionale ai processi di decentramento amministrativo che le leggi Bassanini avevano avviato tra il ’97 e il ’99. Ne è seguito un progressivo aumento della capacità di spesa delle autonomie locali a cui però non ha fatto seguito un analogo processo sul fronte delle entrate. Arrivando a quell’«albero storto» della finanza pubblica citata a più riprese dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, come uno dei grossi mali del nostro Paese. È su questo terreno che si innesta il federalismo fiscale. A cui l’articolo 119 della Costituzione assegna due compiti principali: dare a ogni livello di governo «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» e affidare a un fondo perequativo il compito di assistere i «territori con minore capacità fiscale per abitante» e permettere a tutti gli enti di «finanziare integralmente le funzioni pubbliche» assegnate. Con la legge 42 del 2009 il tentativo di dare attuazione a questi principi è diventato realtà, sulla spinta della Lega che ne ha fatto una bandiera politica e l’apporto dell’opposizione che ha contribuito a smussare gli angoli della proposta “lombarda” di federalismo da cui il Carroccio era partito. L’iter è proseguito nell’ultimo anno e mezzo con gli otto decreti legislativi (su cui si veda la tabella qui accanto) partoriti dall’Esecutivo. Che hanno ridisegnato i compiti essenziali e le capacità impositive di Regioni, Province, Comuni e (quando mai arriveranno) Città metropolitane, sancendo, tra le altre cose, il passaggio dalla spesa storica ai costi standard e introducendo un doppio sistema di perequazione per i territori svantaggiati. In realtà il processo è tutt’altro che concluso; la stessa delega assegna altri due anni al Governo per i correttivi. I primi già sono stati messi nero su bianco – come l’anticipo dal 2014 al 2013 dell’Imu sugli immobili e l’introduzione della Res sui rifiuti al posto della Tarsu – in un provvedimento che sarà all’esame della Conferenza Stato-Regioni e della commissione bicamerale prima di tornare a Palazzo Chigi per il sì finale. E ne seguiranno altri visto che manca la regolamentazione del fondo perequativo di Comuni e Province e le competenze di Roma capitale. A ogni modo per valutare gli effetti del l’intero assetto bisognerà attendere il 2017 quando l’entrata a regime sarà completa. Ma, venendo alle ombre, chissà che per allora la confusione ingenerata dalle competenze concorrenti sarà stata risolta. Le speranze almeno in parte erano affidate al Ddl Calderoli approvato a luglio e appena incardinato al Senato. Oltre a dimezzare il numero dei parlamentari, introdurre il Senato federale e superare il bicameralismo perfetto il Ddl riscrive l’articolo 117 riportando «grandi reti di trasporto e di navigazione», «ordinamento della comunicazione» e «produzione, trasporto e distribuzione nazionale del l’energia» sotto l’egida statale. L’intenzione di varare quel testo in teoria ci sarebbe. Tant’è che l’Esecutivo l’ha anche citato nella lettera inviata all’Ue due settimane fa, indicando la dead line per il voto di una delle due Camere in 6-12 mesi. Che somigliano però sempre più a un’eternità vista la burrasca che si è abbattuta da mesi sulla maggioranza.
Dieci anni di federalismo ma lo Stato recupera spazi
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