Mentre si preparano a mettere nero su bianco i bilanci 2012, operazione piuttosto urgente perché il termine per approvarli è fissato al 31 dicembre e per ora è nebbia fitta su possibili proroghe, è bene che i Comuni si mettano l’anima in pace ed evitino di nutrire troppe speranze negli sconti per i virtuosi. Protagonisti del dibattito estivo sulle manovre per gli enti locali, nei numeri della legge di stabilità approvata nove giorni fa i virtuosi si sono rivelati mosche bianche: alla fine, una volta effettuati tutti i calcoli per individuare gli enti migliori, nella «prima classe di virtuosità» esclusa dal contributo alla manovra finiranno poco più di 2 Comuni ogni 100, e lo stesso accadrà alle Province. Il problema, ancora una volta, sono le risorse: nella virtuosità a costo zero inevitabile in tempi di finanza pubblica a febbre alta gli sconti ai migliori non riducono il conto complessivo a carico di Comuni e Province, ma si traducono in un inasprimento del conto presentato agli enti locali lontani dalle performance più brillanti, per cui concedere le stellette della virtuosità a troppi sindaci avrebbe finito per imporre manovre insostenibili a tutti gli altri. I numeri diventano chiari con la legge di stabilità, che fissa i parametri da applicare alla spesa corrente media di Comuni e Province per individuare in ogni ente l’obiettivo di bilancio per il 2012. Le norme indicano due gruppi di parametri: il primo (15,6% nei Comuni e 16.5% nelle Province) è quello precedente all’esclusione dei virtuosi, ma pochi commi dopo si trovano le percentuali massime (16% nei Comuni, 16,9% nelle Province) che andranno applicate dai “non virtuosi” dopo l’esclusione degli enti “migliori” dalla manovra. Si tratta, in pratica, di una clausola di salvaguardia, che impedisce di assegnare obiettivi troppo alti alle amministrazioni che non saranno graziate dalle pagelle ma nei fatti limita drasticamente la platea degli sconti. Se si applicano i parametri medi e quelli massimi alla spesa corrente degli enti, si scopre che le differenze valgono circa 130 milioni per i Comuni e poco più di 40 per le Province: valori che non permettono di escludere dalla manovra più del 2,5% di Comuni e Province. Questa quota va però intesa nei termini di spazi finanziari, per cui l’inclusione fra i virtuosi di enti più grandi, con bilanci più pesanti, ridurrebbe ulteriormente il numero dei Comuni con il permesso di evitare il contributo alla manovra. L’inclusione fra i virtuosi di un capoluogo di Regione, in altri termini, toglierebbe spazio a decine di Comuni mediopiccoli. Per capire chi saranno i pochi fortunati, ora occorre che i tecnici dell’Economia si mettano al lavoro sui conti locali più recenti per vergare le pagelle, basate sui quattro indicatori scelti dalla legge di stabilità per l’applicazione immediata: si tratta del grado di autonomia finanziaria, del rispetto del Patto di stabilità negli ultimi anni, della capacità di riscossione e dell’equilibrio fra entrate e uscite correnti. Per gli altri indicatori più complessi partoriti dalla prima manovra estiva, come l’incidenza del personale sulle spese correnti “pesata” a seconda delle esternalizzazioni o il gradi di liberalizzazione dei servizi pubblici, l’appuntamento è per ora rinviato al 2013 dalla legge di stabilità, ma in mancanza di strumenti applicativi è facile prevedere un loro tramonto definitivo. A determinare sconti o rincari rispetto al Patto dello scorso anno, allora, più del merito entra in campo un altro fattore ormai classico nei calcoli sempre più complicati che guidano la finanza pubblica: il caso. L’obiettivo dell’anno scorso, infatti, era determinato da una serie di fattori di correzione e di clausole di salvaguardia che non vengono rinnovate per il 2012, di conseguenza gli enti che l’anno scorso sono stati beneficiati dalle regole temporanee vengono castigati quest’anno, e viceversa. Ecco spiegato, per esempio, perché il Patto 2012 chieda a Venezia 212 euro in più a cittadino rispetto a quest’anno, mentre a Torino, Taranto e Barletta piazza l’asticella leggermente più in basso rispetto al 2011, offrendo quindi addirittura una manovra espansiva, anche se di poco.
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