L’aumento a 65 anni dell’età per il pensio-namento di vecchiaia delle lavoratrici del settore priva-to è destinato ad essere nuovamente accelerato. Mancherebbe solo la scelta del Governo sulle opzioni possibili che, secondo le ul-time indiscrezioni sarebbe tra una scalettatura di cin-que o nove anni, partendo dal 2012. Nel primo caso il requisito potrebbe arrivare a regime nel 2016, nel secon-do caso nel 2020, sei anni prima di quanto previsto dalla legislazione vigente. L’intervento è delicatissimo, perché tocca la parte più debole del mercato del lavo-ro italiano, dove il già bas-sissimo tasso di occupazio-ne femminile è accompa-gnato dalla fragilità partico-lare proprio delle lavoratrici over 50, le più esposte a ri-schio disoccupazione in ca-so di perdita dell’impiego. Il Governo Berlusconi aveva affrontato la questione con notevole incertezza nei mesi scorsi: prima prevedendo un incremento graduale del re-quisito anagrafico a partire dal 2020 (l’equiparazione a 65 anni con gli uomini sa-rebbe arrivata nel 2032, poi con un anticipo al 2016 (per arrivare a regime nel 2028) e, infine, con un ulteriore anticipo al 2014 (con alline-amento, appunto, nel 2026). In agosto, quando la secon-da manovra correttiva era in corso di elaborazione, erano stati stimati i risparmi po-tenziali sull’ipotesi di un passaggio immediato a 65 anni dal 2012, misura appa-rentemente draconiana ma che è già prevista per le di-pendenti del settore statale. Tra il 2013 e il 2015 il calo di spesa previsto sulle prin-cipali gestioni Inps sfiore-rebbe, in questi casi, i 3,5 miliardi, con una platea di lavoratrici coinvolte di 60 mila il primo anno, 134 mi-la il secondo e 220 mila nel terzo. Risparmi importanti ma che sarebbero comunque fuori dall’orizzonte del 2013, l’anno in cui dovrà essere garantito il close to balance del deficit/Pil, e tanto più lo sarebbero i ri-sparmi (più leggeri) assicu-rati dalle due opzioni che sarebbero in campo. Se que-sti sono i termini della que-stione c’è da aspettarsi che sulla vecchiaia delle donne, una volta varato il decreto, si aprirà un confronto molto intenso in Parlamento. Non mancherà chi cercherà di far pesare il «fattore figli» che, come dimostrano le statisti-che, incide moltissimo sulla partecipazione al mercato del lavoro delle madri e sul-la loro capacità di mantene-re una continuità contributi-va forte (nelle medie Ocse le lavoratrici di età compre-sa tra 25 e 49 anni senza fi-gli hanno un tasso di occu-pazione del 70% che scende al 65,3% se hanno un figlio 16enne). Per questi casi po-trebbero essere chieste delle «quote di rispetto». Il tema, poi, si intreccerebbe inevi-tabilmente con i ritocchi annunciati sulle pensioni di reversibilità che, come ha fatto recentemente notare l’economista dell’Ocse Anna Cristina D’Addio, restano uno dei pilastri fondamenta-li dei sistemi pensionistici occidentali (e in particolare quello italiano) sviluppati sul presupposto che il reddi-to pensionabile delle donne sia «derivato» principal-mente dal legame che le u-nisce ai loro mariti.
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