Enti, l’associazionismo è un tesoro

A disposizione il 14% del fondo di riequilibrio. Ecco perché ai sindaci conviene mettersi insieme

Italia Oggi
2 Dicembre 2011
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Il mancato adempimento dell’obbligo di gestione associata delle funzioni potrebbe costare molto caro ai piccoli comuni: in ballo ci sono complessivamente risorse per oltre un miliardo di euro all’anno.
Contrariamente a quanto affermato da molti commentatori, infatti, tale obbligo non è del tutto sprovvisto di sanzioni.
A parte l’ipotesi estrema dello scioglimento ex art. 141 del Tuel, viene in considerazione quanto previsto dall’art. 2, comma 7, del decreto sul federalismo fiscale municipale (dlgs 23/2011).
Tale norma prevede che una quota del c.d. fondo sperimentale di riequilibrio (alimentato dal gettito dei tributi immobiliari devoluti) sia ripartita a favore dei «comuni che
esercitano in forma associata le funzioni fondamentali ai sensi dell’articolo 14, commi 28 e seguenti» del dl 78/2010.
Tale quota (che solo in piccolissima parte dovrebbe andare anche ai comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole) è fissata in misura non inferiore al 20% della dotazione del fondo, al netto della quota del 30% che (sino al 2013) sarà ridistribuita in base al numero dei residenti di ciascun municipio.
In pratica, quindi, si tratta del 14% del totale (= 100 – 30 * 20%).
Facendo due semplici conti, dato che la dotazione finanziaria annuale del fondo ammonta complessivamente a circa 8 miliardi di euro, le risorse in ballo, come detto, sono pari a circa 1.120 milioni di euro ogni anno.
Per il 2011, tale importo è stato spalmato sull’intera platea dei comuni, giacché, come ha espressamente precisato il decreto del ministro dell’interno del 21 giugno 2011, al momento del riparto del fondo non era stato ancora adottato il dpcm (ora non più necessario, ma originariamente) chiamato a fissare il termine per l’avvio delle gestioni associate obbligatorie.
Dal prossimo anno, tuttavia, la musica potrebbe cambiare.
L’art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), infatti, ha reso più stringenti gli adempimenti a carico dei piccoli comuni, accelerandone decisamente la tempistica e superando talora anche la necessità di ulteriori passaggi attuativi.
Come noto, la scadenza più ravvicinata riguarda quelli con popolazione compresa fra 1.001 e 5.000 abitanti, che entro il prossimo 31 dicembre dovranno esercitare in forma associata almeno due delle sei funzioni fondamentali previste dall’art. 21 della legge 42/2009.
Per chi non si adeguerà, quindi, già dal 2012 potrebbero scattare i tagli: gli enti inadempienti, in altri termini, potrebbero essere esclusi dal riparto della quota di cui sopra.
Il condizionale è d’obbligo, giacché i contenuti dell’art. 16 (oltre che dello stesso federalismo municipale) potrebbero essere rivisti ed il relativo timing reso meno stringente, come richiesto a gran voce dai rappresentanti dei comuni.
Ma se il legislatore non dovesse intervenire, sarebbe difficile trovare un rimedio in sede applicativa.
La lettera della norma, infatti, è estremamente chiara e non lascia particolari margini interpretativi laddove prescrive «in ogni caso» la definizione di modalità di suddivisione del fondo «differenziate, forfettizzate e semplificate», «idonee comunque» ad assicurare che la quota riservata agli enti in regola sia almeno pari, come chiarito, al 14% del totale.
Difficilmente, quindi, i prossimi decreti di riparto (che, si ricorda, dovrebbero essere adottati dal Viminale previo accordo in sede di Conferenza stato-città e autonomie locali, ma comunque entro il termine, già scaduto per il riparto 2012, del 30 novembre dell’anno precedente) potranno ignorare tali prescrizioni, mentre verosimilmente dovranno tenere conto (sempre fatti salvi eventuali interventi legislativi correttivi) degli obblighi ancora più pesanti posti a carico dei comuni con meno di 1.000 abitanti. Ma per questi ultimi la questione non dovrebbe porsi prima del 2013. Nel frattempo, anche i destini del federalismo fiscale potrebbero essere meno incerti.

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