La prima condizione per poter usufruire dell’agevolazione è soggettiva: il contribuente Imu deve potersi qualificare come impresa di costruzione. Ciò significa, citando la circolare ministeriale n. 45 del 2 agosto 1973, svolgere «anche occasionalmente attività di produzione di immobili per la successiva vendita, a nulla influendo che la materiale esecuzione dei lavori sia [_], in tutto o in parte, affidata ad altre imprese»; fra le attività in parola debbono comprendersi, per costante assimilazione da parte dell’amministrazione finanziaria, anche gli interventi di recupero ex art. 3, lettere c), d) e f), del dpr 380/00. Nessuna agevolazione, invece, per le altre tipologie immobiliari, in particolare per quelle di compravendita: un modello di business, altrettanto in crisi, che risulta inspiegabilmente dimenticato.
Deve trattarsi, inoltre, di fabbricati destinati alla vendita la cui costruzione (o il cui recupero) risulti completata: la seconda condizione per godere dell’agevolazione, di natura oggettiva, si identifica, in definitiva, con il tipico «magazzino» prodotti finiti dell’immobiliare di costruzione o ristrutturazione (ciò a prescindere dalla categoria catastale delle unità immobiliari che, dunque, potrebbero essere anche non ad uso abitativo).
L’impiego dell’aliquota ridotta ha però dei limiti temporali. Quello generale è pari a tre anni: trascorsi, infatti, 36 mesi dall’ultimazione dei lavori si tornerà a subire il carico tributario pieno (e questo escluderà immediatamente o in breve tempo buona parte dello stock d’immobili a oggi invenduto). L’agevolazione cesserà, inoltre, nel momento in cui il cespite verrà qualificato come immobilizzazione (magari per destinarlo a uffici aziendali, luogo di produzione o magazzino) oppure nell’ipotesi della sua locazione (anche se mantenuto in bilancio d’esercizio, perché comunque disponibile per la vendita, nell’ambito dell’attivo circolante).
Una boccata d’ossigeno, quella della riduzione dell’Imu per le imprese di costruzione, che potrebbe risolversi, però, in un’arma spuntata: la facoltà di ridurre l’aliquota, che spetta ai singoli comuni, si configurerebbe, salvo diversi chiarimenti, come una rinuncia gravante esclusivamente sul bilancio dell’ente locale. Il decreto non modifica, infatti, l’undicesimo comma dell’art. 13 del dl 201/11 che impone il riversamento allo stato della metà dell’aliquota base a prescindere proprio dalle riduzioni deliberate dai comuni.
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