Cominciamo con una domanda: come fa una famiglia a spendere regolarmente più di quanto guadagna, un mese dopo l’altro, un anno dopo l’altro? Forse si indebita. Forse ha un patrimonio inesauribile cui attingere. O forse incassa delle somme che non risultano dalla dichiarazione dei redditi. Se quella famiglia è l’Italia, la risposta tira in ballo, inevitabilmente, l’evasione fiscale.
Nel 2009 – ultimo anno per cui sono disponibili i dati – gli italiani hanno dichiarato al fisco redditi per 783,2 miliardi di euro, ma hanno fatto acquisti per 918,6 miliardi. Di fatto, ogni 100 euro registrati nel modello Unico e nel 730, ne sono stati spesi 117, con punte vicine a 140 in Calabria e Sicilia. E si tratta di un dato consolidato nel tempo, non di un caso eccezionale.
Il Sole 24 Ore ha confrontato le statistiche fiscali con le spese delle famiglie misurate dall’Istat, dal 2003 in poi. Eliminando la lente deformante dell’inflazione, saltano all’occhio due fatti importanti, e tutt’altro che scontati: primo, la distanza tra redditi e consumi a livello nazionale si è accorciata negli ultimi sette anni (dal 21,9% al 17,3%); secondo, la riduzione è stata molto forte al Sud e più contenuta al Nord. Anzi, in diverse regioni settentrionali il gap è aumentato: Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Piemonte, cui si aggiunge l’Emilia Romagna, se si considera solo l’ultimo biennio.
Come interpretare questi numeri? Molto dipende dalle politiche fiscali, ma non si può dimenticare la crisi. Dopo le misure antievasione Visco-Bersani, negli anni d’imposta 2006 e 2007 i redditi dichiarati sono cresciuti più dei consumi. Il che fa pensare a un’effettiva emersione di ricchezza nascosta. Con la crisi, invece, le spese censite dall’Istat sono diminuite più velocemente dei guadagni ufficiali. Un po’ come se la congiuntura si fosse mangiata anche una parte degli acquisti finanziati da redditi occulti.
All’interno di questo andamento nazionale, però, Nord e Sud vivono storie diverse. In Lombardia, ad esempio, tra il 2003 e il 2009 gli acquisti sono cresciuti più dei redditi: con il risultato che la forbice si è allargata dal 7,5 all’8,9 per cento. Al contrario nel Mezzogiorno, dove il divario rimane comunque molto più largo, la dinamica è stata opposta. Esemplare il caso Campania, dove si dichiara (un po’) di più che nel 2003, ma si spende (molto) di meno. E lo stesso succede anche in Calabria, Basilicata, Puglia e Marche.
Il Sud, a leggere questi dati, risulta impoverito. Il Nord, invece, mostra una capacità di tenuta superiore, ma anche – in alcune aree – un aumento del rischio evasione. «Rischio» e non «certezza», perché l’elaborazione è effettuata sulla base di dati aggregati e perché una fetta delle spese potrebbe essere finanziata con i risparmi degli anni passati. E d’altra parte non tutti gli incassi in nero vengono utilizzati immediatamente (altrimenti, da dove sarebbero usciti i capitali poi rientrati con lo scudo fiscale?)
Eppure, pur con tutte queste cautele, c’è un’anomalia da non sottovalutare. Anche perché il confronto riportato nel grafico a lato considera i redditi lordi, non quelli che restano in tasca ai contribuenti dopo aver pagato l’Irpef. Ogni cittadino veneto, ad esempio, spende circa 2.500 euro in più di ciò che dichiara, e la differenza sale a 5mila euro se si considerano le imposte pagate. In valore assoluto, il gap più elevato è quello di Val d’Aosta e Trentino Alto Adige. Ma qui entrano in gioco anche le specificità territoriali legate all’autonomia, perché la voce dei consumi conteggia tra l’altro gli incentivi e gli aiuti pubblici erogati ai residenti.
Quello che le statistiche non possono rivelare – almeno per ora – è dove si concentra l’evasione fiscale. Il numero dei contribuenti che dichiarano redditi elevati non è aumentato molto negli ultimi anni, quindi tutto lascia pensare che l’incremento dei redditi dichiarati si concentri nelle fasce intermedie e più basse. Le stesse che saranno colpite dall’aumento del prelievo introdotto dalla manovra salva-Italia.
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