C’è il presidente locale del Cup, il Comitato unitario dei professionisti, a guidare il ricorso oggi vittorioso degli ordini contro l’amministrazione locale, salvata in primo grado dal Tar. È indiscutibile che la tariffa per la raccolta dei rifiuti deve essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire. E oggi Palazzo Spada annulla il provvedimento dell’ente che fissa ai parametri massimi la tariffa per gli studi professionali senza però spiegare in alcun modo perché. La tariffa, riferiscono i giudici, è composta da una parte fissa e da una parte variabile: la prima è determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti; la seconda è rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione. È vero, il comune ha ampia discrezionalità su attività tipiche come l’individuazione dei costi da coprire, la ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, e l’articolazione della tariffa rispetto alle caratteristiche delle diverse zone del territorio amministrato, secondo la loro destinazione urbanistica. Ma non si può certo pretendere che le scelte dell’ente siano sottratte a ogni forma di controllo: significherebbe rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che devono caratterizzare l’azione amministrativa in base all’articolo 97 della Costituzione. Insomma, ecco perché il comune avrebbe dovuto illustrare l’iter logico che ha condotto alla scelta per i parametri massimi della tariffa. Sbagliano qualcosa anche i professionisti: è da escludersi che il potere di determinare la tariffa per la gestione dei rifiuti spettasse all’autorità di ambito territoriale ottimale, il locale consorzio Ato.
Rifiuti, salvi i professionisti
Stop al Comune che tartassa senza spiegare
Italia OggiC’è il presidente locale del Cup, il Comitato unitario dei professionisti, a guidare il ricorso oggi vittorioso degli ordini contro l’amministrazione locale, salvata in primo grado dal Tar. È indiscutibile che la tariffa per la raccolta dei rifiuti deve essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire. E oggi Palazzo Spada annulla il provvedimento dell’ente che fissa ai parametri massimi la tariffa per gli studi professionali senza però spiegare in alcun modo perché. La tariffa, riferiscono i giudici, è composta da una parte fissa e da una parte variabile: la prima è determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti; la seconda è rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione. È vero, il comune ha ampia discrezionalità su attività tipiche come l’individuazione dei costi da coprire, la ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, e l’articolazione della tariffa rispetto alle caratteristiche delle diverse zone del territorio amministrato, secondo la loro destinazione urbanistica. Ma non si può certo pretendere che le scelte dell’ente siano sottratte a ogni forma di controllo: significherebbe rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che devono caratterizzare l’azione amministrativa in base all’articolo 97 della Costituzione. Insomma, ecco perché il comune avrebbe dovuto illustrare l’iter logico che ha condotto alla scelta per i parametri massimi della tariffa. Sbagliano qualcosa anche i professionisti: è da escludersi che il potere di determinare la tariffa per la gestione dei rifiuti spettasse all’autorità di ambito territoriale ottimale, il locale consorzio Ato.
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