Altro che ghigliottina. Gli enti inutili, di cui nessuno neppure sa il numero preciso, davvero non hanno fatto la fine di Robespierre. Dieci anni di leggi sono servite per arrivare a tagliarne appena 37. Ovvero – se si tiene fede alle stime approssimative dell’ex ministro della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli – lo 0,11% del totale. Perché Calderoli, che del disboscamento aveva fatto una missione, nel 2009 aveva parlato di circa 34mila enti su cui far calare le forbici. Cifra mai verificata. Tanto che poi sempre Calderoli un anno dopo abbassò i valori, parlando di 714 enti che ricevono contributi per 9,4 miliardi. E il principale difetto dell’operazione di (non) potatura sta proprio lì: nessuno s’è mai preso la briga di andare a contare quanti fossero gli enti pubblici non economici statali in attività, primo passo per decidere dove far cadere la mannaia. Eppure nel novembre 2009 Calderoli si era impegnato davanti alla commissione parlamentare per la semplificazione ad avviare quall’essenziale ricognizione. E poco più di un mese più tardi lo stesso impegno era stato preso, sempre nella medesima sede, dal suo collega Renato Brunetta, allora ministro della Pubblica amministrazione, altro pasionario della semplificazione. Tutto, però, è caduto nel vuoto.
Anzi, ad essere puntigliosi il saldo della campagna taglia-enti è addirittura più ingeneroso: ai 37 organismi soppressi (36 con dotazione organica pari o superiore a 50 unità e uno con meno di 50 addetti) è corrisposta la creazione, col decreto salva-Italia, di tre nuovi enti. E così dei 415 milioni di risparmi che, come annunciato dalla Finanziaria 2007 (legge 296/2006), si sarebbero dovuti attendere dal 2009, non s’è vista neanche l’ombra. Gli unici risparmi certi sono stati prodotti dalla soppressione dei 37 enti, con conseguente cancellazione di 36 incarichi di presidente (nel caso del comitato nazionale per il collegamento tra il Governo e la Fao, il presidente era il ministro delle Politiche agricole) e di 367 poltrone da amministratore. Potatura compiuta negli ultimi 18 mesi.
Perché è solo a partire dall’estate 2010 che il taglio diventa mirato e la legge indica con “nome e cognome” l’ente che deve uscire di scena. Fino ad allora si era andati avanti agitando la scure nel buio, proprio perché non si aveva contezza di quanti fossero gli enti pubblici non economici su cui ragionare. Anzi, quando la Finanziaria 2007 individuò 11 organismi da eliminare, quell’elenco venne poi abrogato. E l’effetto “ghigliottina” – che prevedeva di far cadere automaticamente la lama sugli enti che non si fossero riorganizzati – non ha sortito effetti.
È chiarissimo al riguardo il documento elaborato dal servizio per il controlllo parlamentare della Camera, che traccia una dettagliata cronistoria dell’inutile operazione di disboscamento: «Tutti gli enti soppressi – si legge nel documento – lo sono stati mediante specifica norma di legge che ha disposto direttamente la loro soppressione», mentre «non risultano casi di soppressione conseguenti al procedimento di riordino e soppressione inizialmente previsti dall’originaria normativa taglia-enti, nemmeno a seguito dell’applicazione dell’istituto della “ghigliottina” introdotto dalla legge 133/2008».
Il bilancio che la Camera traccia è impietoso. Pur riconoscendo «l’indubbia significatività della soppressione di una quarantina di enti pubblici dopo dieci anni di norme inattuate e inutili tentativi in tal senso – afferma -è comunque difficile formarsi non già una valutazione compiuta, ma anche un’idea precisa della portata e rilevanza dei risultati conseguiti dalla normativa taglia-enti (…)». Su ciò ha soprattutto influito «la mancanza di una specifica fase preliminare di ricognizione e censimento degli enti pubblici non economici esistenti», in assenza della quale s’è ingenerata la convinzione che gli organismi sotto i 50 addetti fossero numerosissimi.
Per poi rendersi conto – almeno intuitivamente – che così non è. L’esatto numero, però, nessuno ancora lo conosce. Chissà che la spending review non possa essere l’occasione giusta.
Senza fine
01| LA PRIMA FASE
Per rimanere all’ultimo decennio, è con la Finanziaria per il 2002 (legge 448/2001) che inizia l’operazione di disboscamento degli enti inutili. Viene, infatti, prevista una serie di norme per riordinare, trasformare o sopprimere gli organismi pubblici statali. Norme che restano inattuate
02|LA SECONDA FASE
La potatura delle strutture inutili conosce nuovo impulso con la Finanziaria per il 2008 (legge 244/2007), maè soprattutto con il decreto legge 112/2008 (convertito nella legge 133) che viene pianificata l’operazione di taglio. Si ricorre al meccanismo della ghigliottina: l’ente pubblico economico statale che non si riorganizza, scompare. Sono dettati anche i tempi, che però vengono continuamente prorogati
I numeri
415
I RISPARMI
La Finanziaria per il 2007 (legge 296/2006) quantifica i risparmi derivanti dal taglio degli enti inutili in 205 milioni di euro per il 2007, 310 per il 2008 e 415 a partire dal 2009. Obiettivi che, però, non sono stati affatto conseguiti, visto che sono solo 37 gli organismi soppressi
37
IL TAGLIO
Alla fine, gli enti effettivamente soppressi sono 37. Il taglio è stato operato soprattutto con il decreto 78/2010 (convertito nella legge 122), che ha cancellato 23 enti, e con il decreto salva-Italia (Dl 201/2011, convertito nella legge 214), che ha fatto sparire nove organismi
11
LE NORME
Sono almeno undici le leggi e i decreti legge che si sono succeduti a partire dal 2002 nel tentativo di portare a termine il taglio degli enti inutili. Si inizia con la Finanziaria per il 2002 (legge 448) e si finisce (almeno per ora) con il decreto salva-Italia (Dl 201/2011)
0,11
L’EFFETTO
I risultati del taglio operato (37 enti aboliti) rappresentano lo 0,11% degli enti pubblici non economici su cui intervenire. Almeno se si prendono per buone le stime che l’allora ministro della Semplificazione, Calderoli, diede nel 2009, quando parlò di 34mila enti in sospetto di inutilità
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