Una casa, un lavoro, un titolo di studio e un medico (se serve). Per i 180mila Rom presenti in Italia arriva la rivoluzione-Riccardi. Il ministro per la cooperazione internazione e l’integrazione sta per portare a Bruxelles il suo progetto: un centinaio di pagine intitolate «Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti» (le altre due etnìe presenti in Italia), un piano definito con i colleghi del Lavoro, Interno, Istruzione, Università, Giustizia e Salute. È un’inversione di 180 gradi rispetto alle politiche di Silvio Berlusconi e Roberto Maroni: stop agli sgomberi, intanto, basta anche con i campi attrezzati, rivelatisi poco efficaci. Si passa dalla polizia che prendeva le impronte digitali dei nomadi – pratica bocciata peraltro dal Tar Lazio – alle forze dell’ordine iscritte ai corsi antidiscriminazione razziale: gli agenti sono già in aula.
Il rapporto del ministro per la cooperazione prevede quattro «assi» di intervento. Il primo è una sfida che dura da decenni: «Aumentare la quantità e qualità delle opportunità educative e il numero degli studenti Rsc (Rom, sinti e caminanti) iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado». Le ultime cifre sono sconfortanti: mettendo a confronto gli anni scolastici dal 2007/2008 al 2010/2011, i numeri variano di poche unità (non sempre in aumento) e risultano, in assoluto, molto bassi: nel 2010/2011 ci sono 6.764 iscritti nella scuola dell’infanzia, 3.401 nella primaria, 2.054 nella secondaria di primo grado e soltanto 158 nella secondaria di secondo grado.
L’analisi del documento ricostruisce tutti i possibili fattori, ma non si tira indietro di fronte alla scommessa e lo motiva: con una serie di casi sul territorio che hanno avuto successo. È chiaro che per i circa 70mila minori Rsc serve «un approccio globale» che significa, tra l’altro, «favorire il passaggio appena iniziato dalla scolarizzazione della primaria e secondaria di primo grado alla secondaria di secondo grado anche attraverso forme di alternanza scuola/lavoro». Un percorso analogo riguarda l’occupazione: l’obiettivo è «favorire la promozione della formazione e l’accesso non discriminatorio ai corsi di formazione finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e alla creazione d’impresa».
Un percorso altrettanto complicato è quello che prevede di inserire a pieno diritto le comunità Rom nell’accesso al servizio sanitario nazionale quando, al momento, l’approccio più probabile rimane solo quello al pronto soccorso. Difficoltà presenti per «pregiudizi, errate convinzioni e barriere comunicative» da entrambe le parti. In ogni caso il documento ricorda che la Costituzione e la Consulta sottolineano «il nucleo irrrinunciabile di diritti fondamentali» tra cui quello della salute, dei bambini in particolare. L’idea, intanto, è di attivare con le regioni una campagna di vaccini. Tema ancora più scabroso, quello della casa.
Ma la linea è tracciata: serve, dice Riccardi, «il superamento dei campi Rom – la stima è di 40mila persone oggi insediate – in quanto condizione fisica di isolamento che riduce le possibilità di inclusione sociale ed economica». Le soluzioni prospettate sono molteplici: incentivi alle «autocostruzioni», micro-aree di sosta o di residenza, sostegno all’acquisto e all’affitto, edilizia sociale. Anche qui sono già in atto casi specifici – nel Centro Nord – positivi, da provare a rendere più diffusi.
Ora, si può essere o no d’accordo con le scelte del ministro della cooperazione: dal centr destra sono già arrivati segnali bellicosi. Ma è incontestabile la profonda convinzione di Riccardi nel sostenere che la sfida sui Rom si gioca sulla capacità dell’Italia di evitare ogni forma di discriminazione. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», articolo due della Costituzione.
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