ROMA – L’onorevole Niccolò Ghedini, in viaggio verso Roma, spiega: «Stralciare la parte penale dal Ddl anti-corruzione non mi entusiasma, ma inserire nel testo una nuova disciplina globale dei reati contro la pubblica amministrazione non è cosa da poco e richiede un’attenta riflessione. Se ci fossero gli spazi tecnici e politici per andare avanti con lo stesso testo, sarebbe la cosa migliore. Ma se questi spazi non ci sono, soprattutto quello politico, meglio soprassedere». L’avvocato di Silvio Berlusconi non vuole ammetterlo, ma tocca a lui “trattare” con il Governo sul Ddl anti-corruzione fermo in commissione in attesa che il ministro della Giustizia, Paola Severino, scopra le carte sull’articolo 9, che attualmente si limita ad alzare (nel minimo e non nel massimo) le pene dei reati contro la pubblica amministrazione, a cominciare dalla corruzione, ma di fatto bloccato per l’assenza di un accordo politico nella maggioranza. Dopo due precedenti richieste di rinvio, dieci giorni fa il ministro aveva chiesto un altro slittamento per «approfondire» la materia anche alla luce delle richieste dell’Ocse e del Consiglio d’Europa (in particolare sull’allungamento dei termini di prescrizione sulla corruzione), ferma restando la volontà del Governo di rendere più incisivo il contrasto al malaffare. L’approdo del testo in aula, previsto per fine febbraio, era quindi saltato e ieri la conferenza dei capigruppo lo ha rifissato per il 26 marzo. Per quella data, le commissioni Giustizia e Affari costituzionali dovranno aver licenziato il provvedimento: obiettivo improbabile visto che da via Arenula è giunta la richiesta di non riprenderne l’esame prima del 13 marzo perché la Severino è ancora troppo assorbita dal decreto sulle liberalizzazioni, ma nella sostanza perché l’accordo non c’è ancora. Tant’è che si fanno sempre più insistenti le voci dello stralcio dell’articolo 9: in aula andrebbe solo la parte sulla prevenzione della corruzione (articoli da 1 a 8) così da mandare un segnale all’esterno; quella sulla repressione (l’articolo 9, appunto) resterebbe invece alla commissione Giustizia, affiancata da una proposta autonoma del Governo su tutta la materia (ridefinire le fattispecie di reato, cancellarne alcune, rivedere le pene e, indirettamente, la prescrizione), con l’impegno di esaminarla con corsia preferenziale. La decisione della capigruppo lascia poco spazio all’ipotesi alternativa di aprire e chiudere il capitolo più spinoso sulla repressione penale in due settimane. Ancora devono cominciare le votazioni su tutti gli emendamenti all’articolato perché il Governo non ha ancora dato i suoi pareri né li darà senza un accordo che lo metta al riparo da passi falsi. Che non può permettersi su un terreno come questo. Di qui la cautela della Severino e la prospettiva sempre più concreta di uno stralcio. A Jole Santelli, del Pdl, che lo aveva già chiesto in commissione, Donatella Ferranti, del Pd, ha replicato che sarebbe «una fuga», un modo, in buona sostanza, per insabbiare le norme sulla repressione penale della corruzione. Ma di fronte a un testo “ampio” del Governo, Pd e Terzo Polo potrebbero ingoiare lo stralcio. Ghedini non si sbilancia, anche se non nasconde le sue «perplessità» sull’ipotesi di andare avanti con lo stesso testo. «Questo Ddl nasce su presupposti completamente diversi – ricorda – tant’è che si limita a ritoccare le pene di alcuni reati. Decidere di inserirci una disciplina globale dei reati contro la pubblica amministrazione non è da poco», conclude, ma dopo aver premesso che «non c’è alcuna preoccupazione per i processi a Berlusconi, perché le modifiche riguarderebbero il futuro».
Reati contro la Pa. Il 26 marzo il Ddl in aula
Anti-corruzione, vicino lo stralcio
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