Ad aspettarlo al Tempio di Adriano, a Roma, c’è Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia e tra i più illustri e fieri oppositori dell’”ideologia” dell’austerità per uscire della crisi. È a lui che Mario Monti, dopo averne ascoltato l’intervento, risponde senza concedere molto: «Sono abbastanza d’accordo, ma non su alcuni punti». Del resto nell’appuntamento organizzato da Italianieuropei e Feps – coordinato da Massimo D’Alema – il focus è su come ri-orientare le politiche europee troppo sbilanciate sul rigore e poco attente a politiche sul lato della domanda. Insomma, un punto di vista critico alle teorie imposte dalla Germania di Angela Merkel che Monti però difende: «Senza quei vincoli l’Italia vagherebbe nel vuoto e comunque è sempre possibile che ciò accada». Dunque, fa capire subito che quei punti di vista anti-tedeschi lui non li sposa interamente anche se non dispera di convincere Berlino facendo passare «gli investimenti come politiche sul lato dell’offerta e incidentalmente anche della domanda». Una «traduzione concettuale», la chiama Monti per riuscire ad «aprire le menti tedesche che considerano la domanda pubblica meritevole dell’inferno». Ammette pure che l’Europa non esprime le sue potenzialità sulla crescita perché impegnata anche in un processo di integrazione istituzionale che impedisce «di far bene per lo sviluppo» e dunque contesta le osservazioni di Stiglitz perché tante sono le differenze con gli Usa.
Ma più che al contesto europeo ieri i cronisti hanno fatto attenzione al contesto italiano su cui il premier ha gelato le attese. «In Italia non basterà poco tempo per avere la crescita: per quanto brillanti saranno i governi che succederanno al nostro, la scarsa crescita deriva da peculiarità culturali del nostro paese fortemente corporativo e da una mancata crescita che dura da 10-15 anni». Ma sembrava aver ridotto le aspettative anche sulla riforma del lavoro – «Non aspettiamoci troppo da riforme strutturali come quella del lavoro, come dimostra l’esperienza degli Stati Uniti» – salvo poi chiarire che il riferimento era solo agli Usa. In ogni caso, troppe concessioni all’ottimismo non ci sono state. Piuttosto c’è stato un bel colpo di freno alla Lega e a un ex ministro dell’Interno che incita alla ribellione fiscale cavalcando la protesta anti-Imu. È lì che Monti ha trovato lo spazio per ribadire la sua fermezza contro l’evasione ma anche per “ricucire” con Angelino Alfano.
Andiamo con ordine. Prima ha attaccato «chi incita a non pagare Imu perché incita all’evasione fiscale: questo è inaccettabile». E poi ha tentato di recuperare dopo le polemiche con il Pdl. «Non ho pensato né menzionato l’onorevole Alfano. Sono andato a vedere come era nato questo equivoco e ho avuto la conferma della correttezza di Alfano visto che si era riferito alla presentazione di un provvedimento ad hoc sulla compensazione tra crediti delle imprese verso la Pa e tasse: questo non ha niente a che vedere con l’incitazione alla disobbedienza fiscale». Il fatto è che ieri ancora negava la possibilità di una simile compensazione per via legislativa mentre sembra che Corrado Passera ci voglia lavorare. Quello che annuncia Monti è che invece si seguirà la via che porta a Bruxelles: «Lavoriamo a una soluzione concordata a livello europeo che permetta, prima del fiscal compact, una operazione trasparenza dei debiti verso le imprese. Da lì, rien ne va plus». Troppi margini di autonomia non ci sono e del resto se i partiti puntano il dito contro il Governo Monti per aver alzato le tasse, lui gli rispedisce le accuse: «Abbiamo trovato una tenaglia preconfezionata: è stato il precedente governo che ha anticipato l’impegno al pareggio di bilancio nel 2013, che rispetteremo».
Un indice puntato contro l’Esecutivo Berlusconi-Tremonti, ma sul centro-destra ha anche qualcos’altro da dire, qualcosa che ha a che fare con una delusione. «Nel ’94 con molta attesa, anche da parte mia, si è affermato un nuovo movimento politico che era portatore di molte istanze e fremiti, ma non di una ordinata cultura da schiacciasassi di liberalizzazioni e di rimozione dei vincoli corporativi. Il paradosso è che molte liberalizzazioni le ha fatte la sinistra». Insomma, Berlusconi e la sua Forza Italia non ha avuto quella spinta liberale che pure avrebbe “sanato” i difetti delle culture «di derivazione marxista e cattolica» che hanno favorito debito, inflazione e disavanzo. Il finale di quella storia dalla Prima alla Seconda Repubblica è il suo governo tecnico che Monti definisce «sintesi asessuata delle varie ascendenze politiche».
Una sintesi che, seppure asessuata, non è stata troppo efficace visto che ha avuto bisogno di Enrico Bondi, noto manager risanatore e “tagliatore”. Ed è proprio su Bondi che il premier risponde a un’altra polemica: «I commenti sono stati superficiali, il suo compito non è salvare il Paese ma aiutare il Governo a realizzare tagli mirati, che sono molto difficili». Intanto si attende l’esito delle elezioni a Parigi, ma Monti fa sapere che da «tappetino» l’Italia ora «si sia messa in una buona posizione per aiutare Francia e Germania a trovare un nuovo equilibrio».
LA SOLUZIONE UE
Il Governo sta lavorando a una soluzione concordata con la Ue per i crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione. Prima dell’entrata in vigore del fiscal compact, dovrebbe effettuarsi un’«operazione trasparenza» dei debiti verso le imprese: emersione, pagamento, correzione delle statistiche. Monti ribadisce il rapporto con il debito pubblico: «Se uno Stato è indebitato verso le imprese, questo indebitamento non deve contare come debito pubblico»
LA COMPENSAZIONE
Il premier ha ribadito che non è possibile permettere, anche se c’è una base di giustificazione, che una singola impresa che vanta crediti verso lo Stato decida quando arriva il momento di pagare le imposte e di fare autonomamente la compensazione con eventuali debiti (imposte). Questo, precisa Monti, «sarebbe disobbedienza fiscale», mentre «è ovvio che un parlamentare possa presentare un Ddl come quello annunciato da Angelino Alfano sulla compensazione tra crediti e
tasse da parte delle imprese»
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