L’obiettivo dei risparmi, 4,2 miliardi solo nel 2012, da realizzare con la dieta a cui sarà costretto il corpaccione dell’amministrazione pubblica è arduo. E comunque potrebbe non bastare a ridurre il prelievo fiscale. In questo caso andrebbero rivisti, alias tagliati, i servizi pubblici: scuola e sanità, in testa a tutti.
Il ministro Piero Giarda, nel rapporto presentato lunedì scorso al consiglio dei ministri per le direttive sulla spending review, è chiaro: «Se l’eliminazione degli sprechi, le limature marginali della presenza pubblica e le ristrutturazioni industriali non fossero sufficienti a garantire la riduzione del prelievo tributario, che oggi è considerato come l’elemento ostativo alla possibilità di ripresa dell’economia italiana, si apre l’opzione di interventi che modificano i confini del servizio pubblico come lo conosciamo oggi, nelle varie forme con cui si è realizzata anche in altri paesi». Ipotesi che Giarda ammette essere stata «raramente utilizzata in Italia» e che lui stesso non vorrebbe fosse perseguita. Ma la revisione radicale di ciò che è servizio pubblico, in quanto pagato dallo stato, e quello che invece è pubblico per valore, ma realizzato con fondi privati, non è per niente peregrina. I servizi in prima fila sono ovviamente scuola e sanità. Come procedere, però, dice Giarda «merita un altro rapporto». Ieri, al convegno dell’associazione Koinè sul debito pubblico, Giarda si è spinto più in là: «Se i vincoli sono quelli europei non credo che sia eludibile ridisegnare la mappa dell’intervento pubblico… Si tratta di rivalutare proposizioni, regole di vita e approcci estranei per uno di formazione keynesiana come me, ma oggi come oggi e nei prossimi anni non credo abbiamo moltissime alternative», ha aggiunto Giarda. «Bisogna considerare se ci sono chance per concorrere alla ripresa economica attraverso strumenti diversi dalla domanda pubblica», ha concluso il ministro.
La massa critica della spesa pubblica da aggredire con la spending review affidata al commissario straordinario, Enrico Bondi, ammonta a 295 miliardi di euro, una somma che rappresenta circa il 18-20% del Pil. Una somma che per 135 miliardi è costituita da beni e servizi, 122 miliardi da retribuzioni, 24 miliardi da trasferimenti a imprese, 13 miliardi per i contributi a famiglie e sociale. Si tratta di ridisegnare i servizi pubblici più diffusi, dalla scuola alle carceri, dalla sanità alla difesa, dall’università alla polizia. Finora, scrive Giarda, è avvenuto che la spesa previdenziale, per esempio, nonostante le ripetute riforme sia sempre cresciuta, mentre altri settori hanno modificato il mix della propria spesa riducendola. Ma non necessariamente nella direzione giusta. É il caso della scuola: la spesa è caduta dal 23,1 % del Pil al 17,7% dal 1990 al 2007. E non è un bene. Giarda prefigura un piano industriale per la pubblica amministrazione e un retraining dei travet perché lavorino anche in latri settori del pubblico. Una impresa che non si fa in pochi mesi. Altro problema, è «l’anomalia» del finanziamento degli enti locali, che erogano tantissimi servizi al cittadini, solo in parte finanziati con tributi propri (100 dei 240 miliardi), il che fa sì non siano responsabilizzati nel controllo della spesa. Insomma il cammino è difficile, e il pareggio di bilancio da raggiungere nel 2013 è sempre più vicino.
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