L’Europa mette in mora l’Italia per l’inquinamento delle acque del Po. E a sua volta il ministero dell’Ambiente ha girato la patata bollente, pochi giorni fa, alle Regioni coinvolte: la Lombardia in primis – la più inquinata tra la regioni del Nord –, seguite da Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.
Le lettere sono due, una del 22 e una del 26 marzo. Nella prima si parla della mancata realizzazione delle autorità distrettuali dei bacini dei fiumi, che per l’Ue sono i nuovi enti responsabili delle acque fluviali; nella seconda della mancata messa a punto di un piano di investimenti. Poi, il 24 aprile, il ministero all’Ambiente ha girato la questione alle Regioni.
La Commissione europea aveva già avvisato l’Italia di mettersi in regola con la direttiva europea, dando una delega al governo Berlusconi di recepire nel Testo unico ambientale le richieste comunitarie, che consistevano nel creare dei distretti di bacino e preparare un piano di investimenti realistico, cioè con un elenco dettagliato delle risorse e del modo per reperirle. Ma la delega è scaduta, i distretti non sono mai nati, i piani mai redatti, gli investimenti mai partiti e in più il referendum sulla gestione del settore idrico ha bloccato i tentativi di riforma sia in Italia che nelle Regioni. L’unica cosa fatta – per quanto riguarda le acque del Po – sono dei piani sviluppati dall’Autorità di bacino, compito che doveva però spettare, appunto, ai distretti (peraltro privi di conto economico).
Per la Commissione Ue, dunque, è tutto da rifare. Se l’Italia, dopo la messa in mora, non si adeguerà alle richieste, il caso passerà alla Corte di giustizia.
Non sarebbe peraltro una novità. L’iter è già scattato per molti agglomerati per quanto riguarda la (mancata o deficitaria) depurazione e la gestione delle acque reflue. L’esempio più emblematico è la Lombardia, il territorio del Nord più problematico in questo settore. Il Pirellone ha già ricevuto dall’Ue avvisi (sempre tramite il ministero all’Ambiente) per più di 800 aree e il caso è già stato deferito alla Corte di giustizia. Secondo gli esperti del settore la condanna potrebbe arrivare a breve: 10 milioni per ogni mancato depuratore, più circa 200mila euro per ogni giorno di ritardo dalla condanna. Praticamente una cifra che supera gli investimenti necessari in Lombardia, pari a 3 miliardi circa. In tutta Italia si parla di 20 miliardi di investimenti necessari per la depurazione (di cui l’area del Po rappresenta circa il 25%).
Lo stato di inquinamento del Po è tecnicamente un procedimento a parte (e a breve potrebbero partire anche quelli relativi all’Arno e al Tevere), ma riguarda lo stesso settore, e i problemi sono ovviamente correlati a quelli della mancata riforma del settore idrico.
Il Po è in condizioni critiche, ed è uno dei fiumi più inquinati d’Europa. Secondo la classifica nera dell’Umione europea, il corso più inquinato è il Sarno, seguito poi dagli affluenti del Po. In ordine: Lambro, Seveso, Olona, Mella.
In tema di depurazione l’Italia è in ritardo di oltre 20 anni. La prima direttiva comunitaria risale al 1991. In Italia il primo tentativo di riforma risale al 1994, con la legge Galli, che chiedeva un operatore unico per Ato, per evitare il frastagliamento e creare economia di scala per gli investimenti. Ma nella maggior parte dei territori è rimasta inosservata.
20 miliardi
Gli investimenti
Per migliorare la depurazione in Italia occorrono 20 miliardi
25%
Il bacino del Po
Un quarto degli investimenti necessari riguardano la zona del Po
20
Gli anni di attesa
In Italia la riforma idrica aspetta da 20 anni. Ed è ancora bloccata
10 milioni
La sanzione
La multa dell’Ue prevede almeno 10 milioni a depuratore
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