Una sorta di “combinato disposto”, insomma, potrebbe indurre i Comuni italiani ad accelerare il processo di liberalizzazione per puro stato di necessità. I fattori da considerare sono tre ed interagenti nella convergenza al risultato:
e Il patto di stabilità interno e le più recenti misure del Governo impongono ai Comuni il tetto del 50%, nei bilanci comunali, alla spesa per il personale dipendente. Nei bilanci comunali questa spesa deve ricomprendere anche il personale dipendente delle società interamente partecipate dai Comuni e, tra quelle, le aziende di igiene urbana hanno il più elevato tasso di manualità (spazzamento delle strade, raccolta dei rifiuti) cosicché il loro apporto, in termini di costi di personale, è certo significativo. I Comuni hanno la necessità, dunque, di alleggerire la spesa per il personale e l’estrazione dai bilanci, di quella generata dalle aziende in house di igiene urbana, pare essere una via efficace;
ri Comuni italiani stanno sviluppando la raccolta differenziata dei rifiuti urbani in particolare con il sistema del porta a porta, che richiede un maggior impiego di forza lavoro. Dunque, maggiori oneri di costo del personale che i Comuni, però, non potranno sopportare nei loro bilanci;
tla riforma delle pensioni ha di fatto rinviato temporalmente la possibilità per le aziende di ricorrere al turn over per l’immissione negli organici di risorse fresche, necessarie per affrontare le raccolte ad intenso lavoro manuale.
Per i Comuni italiani, specialmente per quelli in più forte ritardo nella raccolta differenziata, la morsa rischia di essere asfissiante e di inibire anche il più generoso tentativo di allinearsi agli standards di legge raggiunti dagli enti locali più virtuosi: non potranno assumere maggior forza lavoro giovane, non potranno incentivare l’esodo di maestranze anziane e dovranno diminuire l’impatto dei costi di personale sui loro bilanci mentre la spinta dell’opinione pubblica (e dei contribuenti) sarà quella, al contrario, di aumentare la qualità e quantità di servizi di igiene urbana ed ambientale orientati allo sviluppo delle raccolte differenziate.
La via di fuga dalla tenaglia, per tanti comuni che dispongono di aziende ex municipalizzate e non quotate alla Borsa, potrebbe essere proprio quella della liberalizzazione ovvero della gara per l’affidamento in concessione dei servizi ambientali o per la cessione di almeno il 40% del capitale delle aziende partecipate. In questo modo gli enti potrebbero estrarre dai loro bilanci le spese di personale, per la quota riferita ai dipendenti delle aziende di igiene urbana mentre le imprese pubbliche, laddove risultassero aggiudicatarie a seguito della gara, potrebbero riprendere il percorso di crescita e sviluppo ora inibito dalla sequela di vincoli ancora in corso.
Resta il fatto che un processo di questo tipo, procurato dallo stato di necessità degli enti locali e avulso da qualsivoglia strategia industriale per la crescita sostenibile del paese, potrebbe creare non poche criticità e danneggiare tutte quelle imprese virtuose che assicurano gestioni efficienti, efficaci e sicure ai loro cittadini. Non è mai un bene, cioè, che decisioni tanto importanti e complesse siano assunte per stato di necessità e senza disegno prospettico.
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