Tutte le funzioni che non rientrano in questo elenco saranno trasferite ai comuni, insieme ai beni ed alle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi al loro esercizio. La norma, tuttavia, si riferisce unicamente alle «funzioni amministrative conferite alle province con legge dello stato» e «rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione». Essa, quindi, non si applica alle funzioni che le province esercitano nelle materie di competenza concorrente ovvero regionale esclusiva. Si tratta di un’impostazione costituzionalmente corretta (includere anche le funzioni inerenti agli ambiti di competenza dei governatori avrebbe messo un’ulteriore ipoteca sulla legittimità di una disciplina che già presenta elevati rischi di incoerenza con la Carta fondamentale), ma che complica notevolmente la fase di transizione verso il nuovo assetto.Basta, infatti, scorrere l’elenco delle funzioni provinciali contenuto nell’art. 19 del Tuel per rendersi conto di quante di esse ricadano nella seconda categoria: oltre a quelle già salvaguardate dal richiamato comma 6, troviamo: valorizzazione dei beni culturali, servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica. Occorre, inoltre, considerare le funzioni conferite da leggi ad hoc (fra cui, in particolare, quelle oggetto del decentramento disposto dalle riforme Bassanini): istruzione e formazione professionale, artigianato, industria e commercio, mercato del lavoro, protezione civile, servizi sociali, agricoltura, turismo, sviluppo rurale, alimentazione.
A chi andranno queste funzioni? In proposito, l’art. 17, comma 11, del dl 95, dispone che «restano ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione». A decidere, quindi, saranno le regioni, il cui ruolo, non a caso, è stato reso più pregnante dopo il primo passaggio parlamentare della legge di conversione. I tempi della procedura, però, rimangono assai stretti: i governatori, infatti, dovranno esprimersi entro venti giorni dalla data di trasmissione delle ipotesi di riordino elaborate dai consigli delle autonomie locali (i quali, a loro volta, dovranno trovare la quadra entro fine settembre) e comunque entro 92 giorni dalla data di pubblicazione (avvenuta il 20 luglio) della deliberazione del consiglio dei ministri che ha definito i criteri per la razionalizzazione delle circoscrizioni provinciali. C’è il rischio concreto, quindi, che la redistribuzione delle funzioni sulle materie non statali esclusive venga attuata a partita ormai chiusa. Al contrario, sarebbe altamente opportuno procedere in modo organico, ridefinendo l’assetto organizzativo in stretta aderenza con quello funzionale e tenendo conto dell’elevata eterogeneità delle diverse attribuzioni.La questione è ancora più complessa sul piano finanziario: se i tagli diretti alle risorse destinate alle province mettono a rischio l’esercizio delle funzioni provinciali «ritagliate» dal dl 95, quelli a carico delle regioni minacciano indirettamente i trasferimenti regionali agli enti di area vasta per le altre funzioni, che in diverse realtà territoriali sono già stati quasi prosciugati. Gli stessi trasferimenti, inoltre, in base ai provvedimenti sul federalismo fiscale (l 42/2009 e dlgs 68/2011) dal prossimo anno dovranno essere fiscalizzati e sostituiti da una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale e/o ad altri tributi regionali.Un bel rebus, insomma, la cui risoluzione difficilmente può essere agevolata dal modesto allungamento dei tempi di attuazione della riforma previsto nel testo uscito dal senato.
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