Sarebbe meglio abolire le regioni

Non serve un ente di governo perché l’80 per cento delle loro spese è di tipo sanitario

Italia Oggi
28 Settembre 2012
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Ripensare le regioni. Almeno questo, di positivo, ha recato lo scandalo Fiorito con il contorno d’inchieste, giornalistiche e giudiziarie, sulle regioni. La soluzione drastica e logica, la vera soluzione, l’ha indicata Antonio Martino, il quale, non da oggi e neppure da ieri, insiste sul fatto che in Italia abbiamo, insieme, troppi enti di governo e troppi livelli di governo, spaziando dalla circoscrizione o municipio fino all’Europa.
Martino dice: riduciamo i comuni a duemila e spazziamo via una lunga serie di altri enti.
Nella sua coerente operazione di tagli propone pure di sopprimere le regioni. Fra l’altro, essendo l’80% delle spese regionali dedicato alla sanità, non è ragionevole disporre di un ente di governo così importante e costoso come quello regionale, per amministrare precipuamente ospedali e aziende sanitarie.
Lasciando da parte questa posizione tanto radicale quanto condivisibile, non si può negare che in questi giorni si leggano molti inviti almeno a riscrivere l’orrido titolo V della Costituzione, oggetto di un’affrettata ristesura nel 2001, voluta dal centro-sinistra per tagliar l’erba elettorale sotto i piedi della Lega.
Da Vittorio Emiliani a Oscar Giannino, da Roberto Napoletano a Gianfranco Pasquino, abbondano i politici, i politologi, i cronisti, diluiti nell’intero arco politico (leghisti a parte), che rilevano come alle regioni siano stati assegnati troppi poteri, troppe competenze, troppi soldi.
Il problema emerge con chiarezza sia dall’ingolfamento della Corte costituzionale a causa di conflitti di competenza fra Stato e regioni (non ha importanza il colore delle maggioranze), sia dall’assoluta carenza di controlli sulle spese (un guasto che investe tutti gli enti locali), sia dalle difformità normative che in certi settori (si pensi al banale esempio della certificazione energetica) hanno reso la legislazione italiana una somma di oltre venti legislazioni periferiche contrastanti.
Ormai ciascuna regione tende a reggersi come fosse una comunità indipendente dallo Stato centrale, rivendicando la propria semi sovranità, che in alcuni casi (Alto Adige, Sicilia) pare sovranità piena, con l’eccezione dei finanziamenti provenienti dal rimanente territorio nazionale.
Il problema vero va ben oltre la trasformazione dei consigli regionali in parlamentini (c’è voluta la Corte costituzionale per inibire alle regioni l’uso della dizione di «Parlamento»), delle giunte regionali in governi locali, dei presidenti parlamentari in «governatori» (etichetta che pochi sanno essere meramente giornalistica e priva di qualsiasi riferimento legislativo).
Il problema investe l’intero spappolamento dello Stato attuato dalla Costituente in poi, che ha moltiplicato la burocrazia e le spese.
Se l’affare Fiorito servirà almeno a un freno nel cammino seguito da quasi settant’anni, sarà tutto guadagnato.

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