La Leganord va all’attacco di Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia nonché presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani.
Il capogruppo al Comune di Reggio, Giacomo Giovannini, ha presentato un’interrogazione urgente, una sorta di buccia di banana deposta dinanzi all’ufficio del sindaco, il personaggio più noto della nomenklatura pidiessina schierato con Matteo Renzi.
Ed è proprio un’iniziativa voluta da Delrio ad avere fatto trasalire i consiglieri comunali reggiani e a spingere la Leganord ad affilare le armi.
La «pensata» del sindaco, poi diventata posizione ufficiale dell’Anci e per germinazione dell’Upi, la cugina associazione delle Province, consentirebbe di prendere due piccioni con una fava.
I piccioni sono lui stesso e il suo candidato alle primarie, Matteo Renzi. La fava è la norma che cancella la disposizione esistente che prevede che un sindaco, per candidarsi al parlamento, debba dimettersi sei mesi prima delle elezioni politiche.
Il provvedimento venne introdotto per evitare che un sindaco potesse effettuare la campagna elettorale da sindaco e quindi avere un probabile vantaggio sugli altri concorrenti, soprattutto nel caso decidesse di utilizzare la macchina (e il bilancio) comunale per promozionarsi.
Adesso Delrio ha consegnato a Mario Monti la richiesta Anci-Upi di cancellare questa norma. Ovvero i sindaci potrebbero candidarsi nelle liste elettorali politiche, dimettendosi solo 60 giorni prima, praticamente a ridosso del voto. Il che, tradotto in ipotetici (ma non tanto) casi specifici, significa che Matteo Renzi potrebbe rimanere sindaco fino alla vigilia delle elezioni e proporsi aspirante parlamentare e la stessa cosa potrebbe fare Graziano Delrio, a cui manca un anno e mezzo alla fine del secondo mandato di sindaco e non può ricandidarsi.
«La proposta», sostiene il capogruppo comunale reggiano della Leganord, «è letta soprattutto in chiave politica nazionale come un aiutino di Delrio al compagno di corrente Renzi ma calata a livello locale potrebbe risultare ritagliata su misura anche per lui e quindi gli chiedo di esprimersi: intende candidarsi al parlamento?».
La mossa Anci-Upi avrebbe anche un altro regista, Roberto Reggi, spin doctor della campagna elettorale di Renzi. Reggi è stato vicepresidente Anci quando era sindaco di Piacenza ed è stato tra i grandi elettori di Delrio alla presidenza dell’associazione, giocando un ruolo importante nell’infliggere una sonora sconfitta a Piero Fassino, candidato ufficiale di Pier Luigi Bersani alla guida dell’Anci.
Per Renzi la questione è di non poco conto, l’ineleggibilità è un grosso macigno lungo la sua marcia verso la vetta. Una contraddizione che ha spinto anche l’Unità a intervenire: «Senza modifica della legge, se Renzi non lascia a breve il suo incarico a Firenze, non potrà candidarsi alle politiche. Vuol dire che qualora vincesse le primarie non potrebbe guidare le liste Pd per il Parlamento».
Così l’organo del Pd (Bersani consenziente?) avanza un’ipotesi: la segreteria Pd appoggi la richiesta Anci-Upi e si adoperi per l’abrogazione della norma che non consente ai sindaci di candidarsi ma Renzi accetti l’albo delle primarie, cioè che vengano identificati gli elettori in modo che in cabina vadano solo gli iscritti al Pd o alla coalizione di centro-sinistra.
«Renzi punta molto sul voto degli elettori moderati e di centrodestra», conclude l’Unità, «legittimo e anche utile al centrosinistra. Tuttavia, non può fare spallucce quando gli viene posto il problema di un possibile inquinamento del voto».
Ci sarà questo scambio di favori tra Renzi e Bersani?
Per ora il sindaco di Firenze non sembra apprezzare la mediazione e nega di essere il beneficiario della norma pro-domo-sua «Non ero a conoscenza del fatto», dice, «e non mi interessa perché confermo la mia decisione di non correre per un seggio parlamentare sia in caso di sconfitta che di vittoria alle primarie. Aggiungo che le proposte per rimuovere l’ineleggibilità fra sindaci e parlamentari in casa Anci risalgono a dieci anni fa e che l’Anci da libera associazione che mi risulta essere le ha sempre presentate e sostenute».
Ma quali saranno le reazioni di Mario Monti e del ministro competente, quello degli Interni, Anna Maria Cancellieri? Infatti chi dubita dell’utilità di modificare questa regola avanza pure perplessità che si possa fare con un articolo inserito in un decreto sulla finanza locale (come sugggeriscono Anci-Upi), magari votato obtorto collo attraverso la fiducia. Ma c’è pure chi ricorda che è ingiusto che il veto in vigore per i sindaci non valga per i ministri, tanto che Renato Brunetta, da ministro, si candidò a sindaco di Venezia, venendo per altro umiliato dal candidato del centrosinistra, Giorgio Orsoni. E se, come si dice, Corrado Passera deciderà di continuare l’avventura politica si candiderà rimanendo ministro?
Nella città di Delrio c’è fibrillazione dentro e fuori il Pd. Alle festa pidiessina è arrivato Renzi, che dal palco ha tessuto gli elogi del sindaco, tanta gente ma il segretario locale Pd, Roberto Ferrari, chiosa che si è trattato solo di curiosità: «mi è parso che a nessuno importasse alcunché di ascoltare la presentazione del suo libro».
Intanto a Renzi arriva anche uno spiacevole j’accuse da parte di un dipendente della Provincia di Firenze, Alessandro Maiorano. La corte dei conti ha aperto un fascicolo: quando Renzi era presidente della Provincia le spese di rappresentanza sarebbero ammontate a 20 milioni. Non poco per cene, viaggi e fiori. Un rottamatore paperone?
Sindaci più liberi di candidarsi
Il presidente dell’Anci vuol eliminare le dimissioni sei mesi prima delle elezioni politiche
Italia Oggi
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