Dei quasi 180 miliardi di spesa regionale complessiva un quarto si registra nei territori a statuto speciale. E ciò nonostante in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna risieda solo il 15% della popolazione disseminata lungo lo Stivale. Uno “spread” di quasi mille punti che emerge dall’analisi incrociata dei dati Istat su entrate e uscite dell’ultimo quarantennio e che, al tempo stesso, racchiude in sé uno dei tanti paradossi del decentramento all’italiana.
Il dato non è nuovo visto che è dalla loro nascita che le 5 Regioni speciali viaggiano su un livello di uscite nettamente al di sopra della quota di abitanti. Ma il fatto che in 40 anni di regionalismo non si sia riusciti a invertire questa tendenza è di per sé una notizia. Tanto più che la forbice si è invece ridotta sul fronte delle entrate. Il peso degli incassi tributari nelle speciali è passato infatti dall’80% degli anni 70 al 21% del 2001 (quando è arrivato il nuovo titolo V), per poi assestarsi al di sotto del 15% dal 2009 in poi. Laddove, per le uscite, si è passati dal 48% delle origini al 25% del 2011. E anche ai giorni nostri si è rimasti più o meno da quelle parti.
Gli oneri e soprattutto gli onori collegati alla specialità sono ben presenti ai Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio. Senza che siano riusciti però a scalfirlo più di tanto con i progetti (riusciti o solo abbozzati) di riforma in senso federale. L’argomento principe fornito dai governatori interessati, siano essi settentrionali o meridionali, trentini o siciliani, è sempre lo stesso: spendiamo di più perché ci siamo fatti carico di una serie di funzioni aggiuntive al posto dello Stato. Affermazione vera, che ha il demerito però di non cogliere a pieno il cuore del problema.
Come dimostrano anche le tabelle qui accanto, le 5 Regioni speciali si posizionano molto al di sopra della media nazionale anche in gran parte della voci appartenenti alla grande famiglia dei costi della politica. A cominciare dalle graduatoria delle uscite per organi istituzionali, che vede la Valle d’Aosta al primo posto con 120 euro di spesa per ogni abitante, la Sardegna al terzo (44 euro) e la Sicilia al quinto (33,2).
Tutte le classifiche vanno naturalmente messe in relazione con le dimensioni della singola Regione. Il quinto posto siciliano, per esempio, rischia di nascondere il fatto che a Palermo si spende il 20% dei costi totali registrati nel 2011 dalla politica regionale in Italia. Nel caso della Valle d’Aosta, invece, il primato dipende anche dall’esiguità demografica (128mila abitanti), che spiega anche l’assenza della Provincia. Il problema, però, è di sostanza, e riguarda l’autonomia delle regole sui costi. La prova viene proprio dalla Valle d’Aosta, dove il sindaco del capoluogo guadagna come un consigliere regionale, cioè il doppio di un collega in una città delle stesse dimensioni nell’Italia a Statuto ordinario, e i sindaci degli altri Comuni (tutti sotto i 5mila abitanti) hanno un’indennità vicina ai 3.800 euro, cioè 3-4 volte tanto quella dei loro omologhi nelle Regioni “normali”. Difficili da giustificare anche gli 80 consiglieri regionali della Sardegna, grande come la Liguria che invece ne conta 40.
Le performance delle Regioni a statuto speciale
LO SPREAD SUL TERRITORIO
Differenziale rispetto agli abitanti
24,6%
Livello delle uscite nel 2010
Con 43 miliardi di uscite nel 2010 la quota di spesa delle regioni speciali è scesa sotto al 25% di quella dell’intero comparto regionale, precisamente al 24,6%
15%
Quota di popolazione
Il livello delle uscite resta comunque elevato se rapportato alla quota di popolazione: circa il 15%
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