Stipendi p.a. al Mef, un flop

Non decolla l’operazione che avrebbe dovuto trasferire al ministero la gestione dei cedolini

Italia Oggi
9 Gennaio 2013
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La centralizzazione degli stipendi degli statali presso il Mef si sta rivelando un flop. Almeno per quanto riguarda il comparto dei comuni. A sei mesi di distanza dall’entrata in vigore della norma, contenuta nella spending review (dl 95/2012) che ha imposto a tutte le pubbliche amministrazioni di stipulare convenzioni con il Mef per la fruizione dei servizi connessi al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti (o, in alternativa, di utilizzarne i parametri di qualità e di prezzo per l’acquisizione dei medesimi servizi sul mercato), sono solo 67 i comuni che hanno aderito.

E chi lo ha fatto se ne sta pentendo amaramente.

I municipi lamentano infatti svariati disservizi da parte del ministero dell’economia, soprattutto sulla contabilizzazione delle addizionali comunali. Per esempio, in molti cedolini relativi al mese di gennaio 2013, già inviati agli enti aderenti per gli opportuni controlli, non figurerebbero gli importi da trattenere a titolo di addizionale comunale. La ragione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, risiederebbe nella decisione da parte del Mef di far decorrere le trattenute delle addizionali dal mese di marzo anziché da gennaio, comprimendo il prelievo comunale su 9 mesi invece che 12. Peccato però che, lamentano gli uffici comunali, ciò non sia possibile senza il consenso espresso dei lavoratori. Altri comuni, invece, hanno segnalato problemi nel visualizzare i file inviati dal Mef e nell’elaborazione dei dati da inserire nel modello F24 Enti pubblici.

Il passaggio ai servizi stipendiali del Mef, del resto, è apparso poco chiaro fin dall’inizio. A cominciare dall’ambito di applicazione delle norme che in un primo momento sembrava limitato alle sole amministrazioni centrali visto il rinvio a precedenti disposizioni (art. 1, comma 447, della legge 296/2006 e art. 2, comma197, della legge 191/2009) che riguardano le sole amministrazioni statali.

Il dubbio è stato risolto dal Mef con una nota del 12 ottobre scorso (si veda ItaliaOggi del 26/10/2012) nella quale, rispondendo a una richiesta dell’Anci, il ministero ha tagliato la testa al toro affermando che «sotto il profilo soggettivo, i comuni sono sottoposti alla disciplina in quanto inclusi tra le pubbliche amministrazioni (art. 1, c. 2, del dlgs 165/2001), diverse da quelle statali già obbligate dalla previgente normativa».

Finora, tuttavia, ben pochi sindaci si sono adeguati. Come detto, da una ricognizione operata dallo stesso Mef risulta che in tutta Italia i municipi che si sono convenzionati sono solo 67 (su oltre 8.000). La maggior parte si trova al Centro-nord (18 in Lombardia, 3 in Friuli-Venezia Giulia, 8 in Emilia-Romagna e Toscana, 4 in Veneto e Piemonte, 1 in Trentino-Alto Adige e Liguria, 7 nel Lazio), mente al Sud e nelle Isole la compliance è quasi nulla (8 enti in Puglia, due in Campania e Sardegna, uno in Sicilia).

Insomma, dal punto dei vista dei numeri l’operazione si sta rivelando un flop. Eppure, al di là dell’obbligo (e delle relative sanzioni), i risparmi potrebbero essere consistenti (in alcuni casi anche dell’ordine del 90%), anche se occorre tenere conto del fatto che il Mef non offre alcune tipologie di servizi normalmente gestiti in forma integrata con quelli prettamente riferiti agli stipendi. Si tratta, in primo luogo, delle attività svolte tipicamente dagli uffici del personale degli enti, o, presso quelli più piccoli, da esperti/service esterni come, ad esempio, l’immissione di giustificativi di assenza, l’aggiornamento degli anagrafici o le comunicazioni ai centri per l’impiego. Rimangono fuori, inoltre, le attività relative ad alcune tipologie di reddito quali quelli assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a., amministratori locali, collaboratori coordinati e continuativi, Lsu, cantieri di lavoro, borse di lavoro, borse di studio, forestali, professionisti, indennità di esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.).

Un altro problema riguarda i piccoli comuni, in difficoltà perché la legge chiede ai mini-enti di nominare un referente tecnico-informatico ed uno tecnico amministrativo. Peccato però che gli enti di minori dimensioni siano sprovvisti di simili figure, in quanto si avvalgono per lo più di consulenti esterni, né potrebbero agevolmente procurarsele, visti i limiti al turnover e alle spese per la formazione specialistica.

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