Persino i saggi del Quirinale che hanno scritto l’”Agenda possibile” delle nuove riforme economiche hanno ceduto al mito dell’opzione zero: tagliare tutti i vincoli e le restrizioni possibili tranne quelli necessari «per evidenti ragioni di pubblico interesse». Ma quanti imprenditori sanno che oggi non serve più avere un documento programmatico sulla sicurezza? O anche un certificato antimafia o il documento di regolarità contributiva per accedere a una gara d’appalto? Che un pizzaiolo, un parrucchiere o il titolare di una palestra non devono più produrre documenti sull’impatto acustico delle loro attività o avere le autorizzazioni previste per le industrie sulla gestione delle acque reflue? Quanti automobilisti sanno che il “bollino blu” non dev’essere più aggiornato ogni anno, ma va fatto solo alla prima revisione dell’auto (4 anni dopo l’acquisto) e successivamente rinnovato ogni due anni?
Il cantiere delle semplificazioni amministrative, partito con il “taglia-oneri” del 2008 (legge 133) e ora alle prese con l’implementazione dei decreti sfornati l’anno scorso dal Governo Monti (Sviluppo, Semplifica-Italia e Crescita) non ha proprio niente di sexy. Eppure sta producendo risultati clamorosi. L’ultimo consiste nell’aggiornamento di una misurazione dei costi della burocrazia fatto con un obiettivo preciso: capire dove si può tagliare se si punta sulle procedure più onerose e quanto si può risparmiare.
Un calcolo fatto in collaborazione con l’Istat, basato su una metodologia adottata in tutt’Europa (lo standard cost model) e, soprattutto, condiviso con le principali associazioni imprenditoriali. Le 93 procedure analizzate in 9 settori di regolazione dicono che i costi della burocrazia che pesano annualmente su imprese e cittadini superano i 31 miliardi (qualche mese fa ci si era fermati a oltre 26, cui si sono aggiunti i 4 miliardi di costi misurati nel settore edilizia). Se venissero attuate fino in fondo le semplificazioni già varate i risparmi possibili arriverebbero a 8,4 miliardi (il 27,4%, contro l’obiettivo europeo di un taglio del 25%).
Si può fare di più? Certo. Le amministrazioni, per esempio, devono lavorare sodo per adeguarsi alle nuove regole e rispettare i vincoli che impongono di non introdurne altre se non si cancella qualcosa che già c’è (si veda l’articolo a fianco). E poi va considerato l’effetto indotto su chi offre servizi alle imprese, il cui business sta nella gestione delle pratiche per i loro clienti: se si cancella un obbligo documentale o una certificazione si riduce anche una parcella. I tecnici lo chiamano “filtro degli intermediari”, un problema di attuazione di queste riforme ben conosciuto anche negli altri Paesi europei che hanno svolto la misurazione. Come dicono alla task force che lavora all’Ufficio per la semplificazione amministrativa del dipartimento Funzione pubblica, «il risultato finale non si considera raggiunto finché non è chiaramente percepito da cittadini e imprese».
Bastano pochi esempi per capire i problemi che s’innescano con la realizzazione di una semplificazione. Per assolvere oneri procedurali e amministrativi complicati, le imprese sono spesso costrette a ricorrere a consulenti esterni. A esempio, sono destinati a consulenti esterni il 94% dei costi amministrativi nel settore del lavoro e previdenza, l’84% nella prevenzione incendi, l’81% nella sicurezza del lavoro, il 77% nel fisco. Nel complesso, su 31 miliardi di euro di oneri burocratici misurati, i costi per il ricorso a consulenti sono stimati in oltre 24 miliardi, che, grazie alle semplificazioni adottate, potrebbero essere ridotti in modo consistente. Altro esempio, il piano di riduzione degli oneri e il regolamento di semplificazione per la prevenzione degli incendi (Dpr 151/2011): i costi stimati in 1,4 miliardi l’anno possono essere ridotti di 650 milioni. Solo che nell’84% dei casi gli imprenditori (quale che sia la dimensione della loro azienda) hanno affidato queste incombenze a un professionista e non sanno quali obblighi sono stati cancellati in questi anni o quali modificati e ridotti.
Insomma le semplificazioni amministrative (e domani quelle regolatorie) producono frutti solo se si investe nei processi attuativi. E solo se questi processi vengono accompagnati con crescenti coinvolgimenti di cittadini e imprese. E poi serve un costante monitoraggio dei risultati raggiunti e una maggiore informazione generale sul tema. Niente di sexy dunque. Ma semplificando s’impara. E si risparmia.
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