Che lo «sblocca-debiti» ora in corso di conversione in legge al Senato non sia l’intervento risolutivo è cosa nota. Uno sguardo ai numeri generali mostra però che il tratto di strada più consistente è ancora da percorrere: nel 2013 tra Regioni, sanità ed enti locali il decreto mette in circolazione poco più di 14 miliardi e altri 15,4 miliardi sono in calendario per l’anno prossimo. In tutto, però, queste due cifre coprono poco più del 21% dei «residui passivi», cioè degli impegni di spesa iscritti nei bilanci di questi enti ma ancora non trasformati in pagamenti effettivi (sono 136,9 miliardi; si veda Il Sole 24 Ore del 18 febbraio). Lo stesso Parlamento, del resto, ha chiarito l’esigenza di far partire quanto prima una «fase 2» per aggredire gli altri debiti che ancora mancano all’appello.
È la geografia delle risorse già liberate con il primo provvedimento, disegnata dalle tabelle elaborate per il Sole 24 Ore dal Centro Studi Sintesi, a mostrare l’urgenza di pensare a nuove regole a regime, che oltre a liberare gli investimenti da parte degli enti pubblici in grado di programmarli provino a risolvere i problemi prima che si trasformino in malattie terminali. Da questo punto di vista, è particolarmente interessante guardare la distribuzione degli anticipi di liquidità assegnati dalla Cassa depositi e prestiti, che rappresentano lo strumento più indicativo perché sono destinati agli enti locali dove la quota di debiti “liberati” dal decreto supera più o meno abbondantemente le risorse che sono in cassa.
L’86,4% di queste risorse ha preso la via delle regioni del Centro-Sud, con una netta supremazia “conquistata” dai Comuni della Campania, che si sono accaparrati un terzo dei fondi disponibili (588 milioni su 1,76 miliardi), seguiti dal Lazio (20%) e dalla Calabria (14%). A spiegare il primato della Campania è il dato del solo Comune di Napoli, che aveva bussato alle porte della Cassa depositi e prestiti per ottenere una maxi-anticipazione da 949 milioni di euro, cioè quasi la metà dei 2 miliardi messi sul piatto per tutti i Comuni italiani. Tra le richieste over-size si può segnalare poi quella presentata dai commissari che guidano Reggio Calabria, e che ambivano a 300 milioni (187,5 concessi). Ma ovviamente i conti difficili della finanza locale non si concentrano solo al Sud: Roma ha chiesto 557,6 milioni e se n’è visti riconoscere 348,5, Torino 381,8 e ha ottenuto un’assegnazione da 238,6, mentre Milano non figura negli elenchi dei municipi che si sono rivolti alla Cassa.
Come ogni cura, anche quella a suon di anticipazioni si concentra ovviamente dove ci sono i problemi maggiori. C’è il fatto, però, che Napoli, Reggio Calabria e molti altri Comuni soprattutto meridionali si sono appena imbarcati sulla scialuppa del «pre-dissesto», cioè il fondo rotativo varato dallo Stato per salvare le amministrazioni dal default. Anche in questo caso la filosofia è analoga, e si concretizza in anticipazioni da parte dello Stato da ripagare negli anni successivi, perché nella nostra finanza pubblica in difficoltà non esistono pasti gratis.
La sovrapposizione fra i due strumenti è resa evidente dallo stesso decreto «sblocca-debiti», che ai Comuni impegnati nell’anti-dissesto chiede (doverosamente) di aggiornare il piano di rientro tenendo conto degli oneri aggiuntivi creati dall’obbligo di restituzione delle nuove anticipazioni targate Cassa depositi e prestiti. Per fare le correzioni del caso, il decreto ha concesso alle amministrazioni interessate 60 giorni in più, allungando di conseguenza i tempi per l’analisi dei piani di rientro da parte della Corte dei conti e per l’avvio effettivo delle misure anti-dissesto.
Ma nei tempi delle emergenze senza fine le novità si sovrappongono continuamente, e su questo panorama interviene anche la sospensione dell’Imu sull’abitazione principale e i terreni agricoli. I Comuni impegnati nell’anti-dissesto avrebbero dovuto portare tutte le aliquote al massimo, e dal momento che le compensazioni sono calcolate sul gettito 2012 chi non avesse già portato al top le aliquote l’anno scorso si trova oggi ad aver previsto nel piano di rientro un’entrata che non c’è più.
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