Redditi al buio per i ministri

Costi della politica. Finora nessuno ha pubblicato sul sito la retribuzione e la situazione patrimoniale

Il Sole 24 Ore
27 Maggio 2013
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L’ultimo è l’intervento presentato al Consiglio dei ministri di venerdì scorso: un disegno di legge (che verrà approvato nella prossima seduta del Governo) per abolire il finanziamento pubblico dei partiti. Il taglio ai costi della politica continua. Giovedì era stato il Quirinale ad annunciare di aver rinunciato a 10,3 milioni di euro iscritti a bilancio per il triennio 2014-2016 sotto la voce di adeguamenti economici. E poco più di una settimana fa era toccato all’Esecutivo dare la propria sforbiciata, imponendo a ministri e sottosegretari che sono anche parlamentari di rinunciare al doppio stipendio, optando per quello della Camera in cui si è stati eletti.
Un taglio che coinvolge il presidente del consiglio, 13 ministri e 20 sottosegretari e che va dai 75mila euro (si parla sempre di cifre nette) del premier ai 41mila dei ministri, per scendere ai quasi 40mila dei sottosegretari. Costoro dovranno contare “solo” sulla busta paga da parlamentare, che, per quanto anch’essa oggetto di ripetuti tagli, resta di tutto rispetto: 14mila euro netti al mese.
È l’unico dato certo che si conosce sul reddito del nuovo Governo. La via inaugurata dall’ex premier Mario Monti, di pubblicare online la situazione patrimoniale del proprio Esecutivo, finora, infatti, non è stata seguita da nessun componente del nuovo Governo. Inutile cercare sui siti qual è la retribuzione dei vertici dei dicasteri. Ci sono le biografie, inappuntabili curricula, l’elenco delle dichiarazioni rilasciate, carrellate di foto (per i più precisi, anche in alta definizione), le interviste, ma della situazione patrimoniale nessuna traccia. L’unico che l’ha pubblicata è il ministro degli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, che però non ha dovuto fare molta fatica se non, eventualmente, aggiornarla. Moavero Milanesi, infatti, ricopriva lo stesso incarico durante il Governo Monti.
E pensare che ora c’è un motivo in più perché i politici rendano trasparenti redditi passati e attuali. Dopo che Mario Monti aveva imposto la pubblicità dei guadagni, delle azioni possedute, delle auto utilizzate, degli altri incarichi rivestiti, è infatti arrivato il decreto sulla trasparenza (il Dlgs 33 di marzo scorso), indotto dalla legge anticorruzione (la 190 del 2012). Ebbene, quel decreto – che è entrato in vigore il 20 aprile (nove giorni prima che il nuovo Governo giurasse) – impone alle pubbliche amministrazioni di pubblicare online, in una sezione ad hoc del sito istituzionale, una serie di informazioni. Nel caso di chi riveste incarichi politici, l’articolo 14 prevede che si mettano sul web, tra l’altro, «i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica» e le dichiarazioni dei redditi. Obbligo che si estende, per quanto riguarda la situazione patrimoniale, anche al coniuge e ai parenti entro il secondo grado, anche se in questi casi per la pubblicazione dei dati è necessario il loro consenso (in caso di diniego, questo va comunque reso noto).
Per il momento, invece, tutti i siti dei ministeri restano muti. Unica attenuante è il fattore “tempo”: il decreto, infatti, concede ai politici tre mesi (dall’elezione o dalla nomina) per pubblicare tutte le informazioni. Un mese è già praticamente trascorso. Ne restano ancora due. La trasparenza, dunque, non è compromessa. Resta, tuttavia, da chiedersi come mai alcune informazioni (come il curriculum), pure previste dal decreto, siano già online e sul trattamento economico occorra più tempo, nonostante si continui a parlare (e intervenire) sui costi della politica.
Ed proprio è per questo che l’unico dato certo sugli emolumenti del nuovo Governo è per ora quello relativo alla retribuzione dei ministri parlamentari. Neanche sui ministri non parlamentari c’è altrettanta sicurezza. Questi ultimi, infatti, percepiscono la retribuzione da ministro (stipendio più indennità integrativa speciale: una cifra nell’ordine di 50mila euro netti all’anno), a cui si aggiunge una speciale indennità prevista dalla legge 418 del 1999, pari a quella percepita da deputati e senatori. Il risultato è che i ministri non parlamentari guadagnano quanto i loro colleghi parlamentari (una cifra annua lorda di circa 200mila euro), solo che questi ultimi ora devono rinunciare alla busta paga da ministro. E gli altri? 
In ogni caso, comunque la si giri, alla fine è sempre la retribuzione dei parlamentari a fare da riferimento. Trattamento che nel corso degli ultimi anni ha subito continui tagli. Si è cominciato nel 2006 con la riduzione dell’indennità, una delle diverse voci che compongono lo stipendio di deputati e senatori. Senza’altro la più corposa.
Un’azione di potatura quasi sempre compiuta in contemporanea da Montecitorio e Palazzo Madama, culminata con l’intervento previsto dall’articolo 13 del decreto legge 138 del 2011, che ha introdotto per tutte le cariche costituzionali (a eccezione del presidente della Repubblica e dei componenti della Corte costituzionale) una riduzione del 10% per la parte di retribuzione eccedente i 90mila euro annui. Fino ad arrivare all’intervento di questi mesi da parte dei presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, che si sono tagliati gli emolumenti del 30 per cento. Non è, però, detto che le sforbiciate siano finite.

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