La sanità, con l’ipotesi di una centrale unica di acquisto a livello nazionale e l’estensione alle Regioni a statuto speciale del meccanismo dei costi standard per impedire che una siringa venga pagata due centesimi da una Asl e tre euro e mezzo da un’altra,come avviene oggi. La revisione degli aiuti pubblici alle imprese e delle agevolazioni fiscali, riprendendo in mano i dossier preparati per il governo Monti da Francesco Giavazzi e da Vieri Ceriani. Partirà da questi punti la spending review 2, la nuova fase di revisione della spesa pubblica del governo Letta, i tagli «non indolori» di cui parla il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
Sulla sanità, il primo passo arriverà a giorni quando il governo incontrerà le Regioni per definire il nuovo patto per la Salute, l’intesa con i governatori sui fondi e sul loro utilizzo. È stato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, la settimana scorsa, a parlare di un risparmio «totale di più di 10 miliardi», sostenendo che le risorse recuperate andrebbero comunque lasciate a disposizione per la sanità. Il risparmio complessivo si avrebbe comunque solo a regime, quindi solo in parte utilizzabile nell’immediato, nelle intenzioni del governo, ad esempio per le coperture dell’Imu e del nuovo rinvio dell’Iva, che da soli di miliardi ne valgono cinque. Bisogna prendere in mano anche altre leve. Cominciando dai dossier già pronti, almeno nella loro fase istruttoria. Per questo sul tavolo del governo è tornato il rapporto Giavazzi che rivede gli aiuti pubblici alle imprese. Qui i numeri diventano variabili perché già il governo Monti aveva rivisto al ribasso i vantaggi dell’operazione: da 11 miliardi si era scesi a tre e poi a 500 milioni. Ma qualcosa si può recuperare. Stesso discorso per le agevolazioni fiscali, quella lista di 720 sconti sulle tasse di cittadini e imprese sulle quali aveva lavorato il sottosegretario del governo Monti, Vieri Ceriani. Ogni anno le agevolazioni portano meno entrate allo Stato per 253 miliardi ma la maggior parte degli sconti sono intoccabili perché riservati alla fasce sociali deboli. Si può intervenire su alcune voci minori, che pesano poco sulle case dello Stato. Ma in tempo di caccia alle risorse anche questa strada sarà percorsa.
C’è poi il capitolo Province. Al momento il loro riordino è finito nel pacchetto delle riforma istituzionali all’esame della commissione di saggi. Ma non è da escludere che venga tirato fuori per procedere più velocemente. Il risparmio previsto dal progetto del governo Monti – che non le cancellava ma le tagliava da 86 a 51 – era stato fra i 370 e i 535 milioni di euro. Un intervento più deciso potrebbe fruttare ancora di più e i ministri Graziano Delrio e Gaetano Quagliariello hanno detto più volte che, così come sono, le Province saranno abrogate.
Scorrendo la lista delle priorità ci sono altri interventi. Sulla dismissione degli immobili pubblici, dopo un lungo iter è finalmente operativa a tutti gli effetti la Sgr, la società di gestione del risparmio che si occupa della questione. Con il mercato immobiliare in crisi, la vendita è un’opzione possibile ma ottimistica. E per questo si punterà sulla valorizzazione degli immobili, cioè darli in affitto, oppure sulla loro razionalizzazione, utilizzandoli per uffici pubblici che oggi sono in affitto e quindi riducendo comunque la spesa pubblica. La lente finirà anche sui trasporti, esaminando con attenzione i contributi che oggi vanno sia alle ferrovie sia al trasporto pubblico locale. Mentre sulle privatizzazioni, in realtà, l’ultimo passo il governo l’ha fatto indietro. Nel decreto del fare è stato rinviato di sei mesi, fino a fine anno, il termine per chiudere e mettere a gara le 3 mila società partecipate da Comuni e Province. Danno lavoro a 200 mila persone e le possibili ricadute occupazionali, in un momento come questo, hanno spinto il governo alla proroga. La cessione era prevista proprio dalla prima spending review, quella del governo Monti. E questo lascia capire quanto possa essere ampio lo scarto tra le intenzioni e i risultati.
Dice l’ex ministro Piero Giarda, che sulla sua spending review ha depositato tre mesi fa un corposo documento arrivato sul tavolo del nuovo governo: «La revisione della spesa pubblica è un progetto che richiede tempo sia per essere progettato che per essere realizzato. Ottenere risparmi immediati non è semplice. E poi deve essere costante, non uno stop and go come si è fatto in Italia». Il nome di Giarda viene dato in pole position per il ruolo di nuovo commissario alla spending review: «Se me lo dicono ci penserò. Io al momento sto studiando la più bella legge Finanziaria mai fatta in Italia. Quintino Sella, 1870».
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