Province, una scatola vuota

Il ddl di riforma approda sul tavolo del consiglio dei ministri. E fa già discutere

Italia Oggi
26 Luglio 2013
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Province ridotte ad enti territoriali di secondo livello con funzioni circoscritte a pianificazione territoriale, ambiente, trasporti e scuola. Città metropolitane operative dal 1° luglio 2014 in sostituzione degli attuali enti di area vasta, salva diversa decisione da parte di almeno un terzo dei comuni interessati. Individuazione delle unioni come modalità privilegiata di adempimento dell’obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali da parte dei municipi più piccoli.Sono questi, in estrema sintesi, i contenuti salienti del disegno di legge sul riassetto della p.a. locale che oggi è approdato all’esame preliminare del consiglio dei ministri.

Il testo ricalca, pur con qualche modifica, quello anticipato la scorsa settimana da questo giornale (si veda ItaliaOggi del 20 luglio).Province. In proposito, il disegno di legge introduce una sorta di disciplina transitoria, destinata ad applicarsi in attesa del varo della riforma costituzionale già avviata. Come accennato, le province cesseranno di avere organi eletti in via diretta dai cittadini. Il presidente, infatti, sarà scelto da e fra i sindaci in carica, una minoranza dei quali comporrà anche il consiglio provinciale.

Tutti i primi cittadini, inoltre, siederanno nell’assemblea dei sindaci, chiamata ad approvare lo statuto ed i bilanci. Le elezioni dei nuovi vertici scatteranno subito dopo l’entrata in vigore della legge e dovranno svolgersi entro 20 giorni dalla proclamazione dei sindaci eletti a seguito della prima tornata di elezioni amministrative. Come detto, le nuove province avranno funzioni limitate a pianificazione del territorio, valorizzazione dell’ambiente, trasporti e strade provinciali, programmazione della rete scolastica. Gli altri compiti passeranno ai comuni (singoli o associati in unioni), salvo quelli che le regioni, nelle materie di propria competenza, decideranno di trattenere a sé.

La transizione, peraltro, sarà tutt’altro che semplice, al punto che, in attesa di una futura (e ancora tutta da definire) riforma della finanza locale, le entrate tributarie continueranno ad essere riscosse dalle province, rendendo quindi necessaria la costruzione di un sistema di trasferimenti da queste a sindaci e governatori. Città metropolitane. Dal prossimo 1° gennaio, saranno costituite le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. I nuovi enti (anch’essi di secondo livello, ma con la possibilità di prevedere l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano, sia pure solo dopo l’approvazione di una legge elettorale ad hoc e comunque non prima di un triennio) avranno inizialmente funzioni limitate all’approvazione dello statuto. Il battesimo vero e proprio è previsto per il 1° luglio 2014, allorché esse subentreranno alle attuali province, assumendo ampi compiti che includeranno anche sviluppo economico e sociale, organizzazione dei servizi pubblici, mobilità e viabilità. A quel punto, le province saranno soppresse, salvo che, entro il prossimo 28 febbraio, almeno un terzo dei comuni del territorio interessato (fra loro confinanti) non chieda di restare fuori dal nuovo ente: in tal caso, l’attuale provincia resterà in funzione (con organi eletti secondo le nuove modalità) sul nuovo e più ristretto ambito.

Anche qui la successione si prospetta complessa, specie laddove la città metropolitana si affiancherà all’attuale provincia, al punto che si prevede addirittura la possibilità per ciascuno dei due enti di ricorrere alla Corte dei conti avverso gli atti di riparto delle risorse patrimoniali, strumentali, umane e finanziarie. Le città metropolitane, inoltre, avranno le stesse entrate delle province, ma dovranno ritrasferirne una quota se queste sopravvivranno. Anche la gestione del Patto si annuncia come un rebus: in caso di coabitazione fra vecchio e nuovo ente, ciascuno risponderà “in solido” dell’obiettivo.Unioni di comuni. Esse diventano lo strumento prioritario per l’adempimento dell’obbligo di gestione associata delle funzioni da parte dei piccoli comuni. L’alternativa della convenzione rimane, ma potrà essere adottata al massimo per un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore della legge, dopo di che i comuni interessati dovranno comunque unirsi.

Rispetto alla bozza iniziale, tuttavia, risultano fortemente depotenziati gli incentivi per tali forme associative. Non è più prevista alcuna forma di agevolazione diretta ai fini del Patto, ma solo un invito alle regioni a favorire i processi aggregativi attraverso la regionalizzazione verticale. Saltano anche le premialità ed i contributi aggiuntivi per le fusioni.

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