L’annuncio a effetto è arrivato da Dublino, dove il prossimo 4 ottobre un referendum potrebbe sancire l’abolizione del Senato. Una sforbiciata di 60 parlamentari che farebbe risparmiare 20 milioni all’anno.
L’Irlanda, però, non è l’unico Paese alle prese con la cura dimagrante della pubblica amministrazione e dei costi della politica. In attesa delle novità sul fronte italiano da Londra a Lisbona, passando per Madrid, Parigi e l’Aja, la spending review sarà il piatto forte dei budget 2014 che quest’anno per la prima volta dovranno essere presentati alla Commissione Ue entro il 15 ottobre per una pagella preventiva. «In un momento di ripresa economica ancora incerta – spiega Fabio Fois, Southern European Economist di Barclays – i governi hanno poco spazio di manovra. Aumentare le tasse peserebbe sulla domanda aggregata a lungo, e quindi sulla sostenibilità della ripresa economica stessa. L’unico modo di continuare sulla strada di una austerity growth friendly è tagliare la spesa pubblica improduttiva, dove i margini di manovra sono invece notevoli.
Sarà un processo lento, ma irreversibile. Occorre però che agli annunci seguano davvero i fatti» A compiere i maggiori passi avanti nel 2012 sono stati due Paesi sotto l’ombrello degli aiuti di Ue e Fmi, l’Irlanda e il Portogallo. La prima, secondo i dati di Eurostat, ha ridotto la morsa della spesa pubblica sul Pil di ben 5 punti percentuali. Merito soprattutto del piano conosciuto in patria come Croke Park Agreement varato nel 2010, che comincia a dare i primi frutti. Il secondo è invece passato dal 49,2 al 47,5 per cento e anche oggi il governo, dopo gli scossoni e il rimpasto di inizio estate, non intende abbassare la guardia: nella bozza di manovra per il 2014 ha già concordato con la trojka (Ue, Bce e Fmi) un taglio della spesa pubblica di 4,8 miliardi, con una stretta sui funzionari che dovranno lavorare di più (40 ore settimanali invece delle attuali 35) e più a lungo. Mentre è ancora in salita la strada per il loro pensionamento forzoso, dopo la bocciatura del tribunale costituzionale di venerdì scorso.
Quest’anno a far stringere maggiormente la cinghia al moloch della pubblica amministrazione saranno anche la Francia e la Gran Bretagna. A Parigi l’esecutivo socialista è alle prese con quello che viene definito «il primo vero taglio della spesa pubblica dal 1958». Il governo punta a risparmiare 14 miliardi con un freno all’aumento dei salari dei dipendenti pubblici e una riduzione selettiva delle uscite. La scure dovrebbe però salvare i settori prioritari come lavoro, giovani e giustizia. L’obiettivo del Paese, sotto procedura di infrazione a Bruxelles per deficit eccessivo, è avviare un percorso di riduzione del disavanzo portandolo sotto la soglia del 3% prevista dal Patto di Stabilità Ue entro il 2015.
Londra prevede invece di raggranellare 11,5 miliardi di sterline (circa 13,4 miliardi di euro). A fare i maggiori sacrifici saranno le autorità locali, ma i tagli riguarderanno anche le spese per cultura, musei e giustizia. Si salveranno solo l’istruzione, la sanità e gli aiuti internazionali. La Spagna ha appena varato la riforma degli enti locali che dovrebbe portare a un “gruzzolo” di otto miliardi. E anche l’Olanda punta a risparmiare sei miliardi.
Tagli sì, ma con giudizio, avvertono però gli economisti interpellati. «Occorre ridurre la spesa improduttiva – spiega Fabian Zuleeg, chief executive dell’Epc (European Policy Centre) – ma non penalizzare ulteriormente i cittadini europei già fortemente colpiti dall’austerity. Per questo la spending review deve essere selettiva».
Questi risparmi, aggiunge Silvio Peruzzo, senior European economist di Nomura, «consentiranno di mettere da parte un tesoretto che potrà tornare utile per diminuire il carico fiscale sulle imprese». L’azione delle capitali dovrà anche essere lungimirante. «Per agganciare la ripresa – chiarisce però Zuleeg – i governi devono accompagnare la riduzione della spesa con misure di rilancio della crescita, anche con un’azione coordinata a livello europeo».
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