Ci avevano già provato i saggi insediati a fine marzo dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che avevano individuato nella riforma del Titolo V della Costituzione un passaggio ineludibile. E, in effetti, il tema spinoso torna anche nella relazione finale messa a punto dalla commissione istituita dal premier Enrico Letta. «I problemi principali posti dall’attuazione del Titolo V – si legge nel documento – sono stati costituiti dall’incerto riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, dal mancato raccordo tra funzioni legislative e amministrative e dalla mancanza di coordinamento con il sistema delle autonomie locali».
Sovrapposizioni, incertezze e incongruenze che hanno finito per rallentare l’iter di infrastrutture strategiche nazionali. Ecco perché la commissione sottolinea l’esigenza di riportare in capo allo Stato la competenza esclusiva in materie originariamente attribuite alla legislazione concorrente per le quali «emergono, invece, come prioritarie – evidenziano i saggi – una disciplina e una gestione ispirate al principio dell’interesse nazionale»: «grandi reti di trasporto e navigazione», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e «ordinamento della comunicazione». Grandi opere, insomma, che in questi anni di federalismo monco hanno pagato lo scotto di una scarsa chiarezza nella ripartizione di competenze tra Stato e autonomie. Prova ne è il consistente contenzioso che ha intasato la Consulta dopo la riforma del 2001 con migliaia di conflitti esplosi tra centro e periferia sulla programmazione e la realizzazione di opere strategiche.
Non a caso, gli stessi saggi non mancano di sottolineare l’opportunità di ricondurre alla competenza esclusiva dello Stato «ulteriori materie nelle quali appare meno plausibile l’esercizio della funzione legislativa da parte delle Regioni e la cui collocazione nella categoria della legislazione concorrente spesso ha favorito un incremento del contenzioso costituzionale». I cui numeri sono chiarissimi: dal 2002 a oggi Regioni e Stato si sono scontrati in Corte costituzionale 1.647 volte (si veda il Sole 24 Ore del 10 settembre). In altri termini, nel 36% delle loro pronunce i supremi giudici si sono dovuti occupare dello scontro tra governatori e Palazzo Chigi. Un conflitto perenne che, secondo la commissione, potrebbe essere dunque superato riassegnando al centro la potestà su alcune materie e conservando la competenza concorrente in determinati ambiti. Con la previsione, però, di una clausola di salvaguardia «che consentirebbe allo Stato di intervenire tutte le volte e nei limiti in cui lo richiedano la tutela dell’unità giuridica ed economica, la realizzazione di programmi di interesse nazionale e le grandi riforme economico-sociali».
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