Si avvicina la resa dei conti sulle società dei comuni con meno di 30 mila abitanti. Entro lunedì prossimo, 30 settembre, infatti, dovrebbe scattare la procedura di liquidazione ovvero, in alternativa, la cessione delle partecipazioni sul mercato. Il condizionale è quasi un eufemismo, visto che al momento ben pochi enti si sono mossi per allinearsi all’obbligo, complice anche la girandola di proroghe e di eccezioni introdotte sia dal legislatore che dalla magistratura contabile. Ma questa volta i renitenti potrebbero non passarla liscia: in caso di inadempimento, infatti, è previsto che il prefetto assegni un termine perentorio per provvedere e, se l’inerzia si protrae, nomini un commissario ad acta. Tutto nasce con la manovra estiva 2010 (dl 78), che all’art. 14, comma 32, introduce una regola molto chiara: al di sotto dei 30 mila abitanti, i comuni non possono detenere partecipazioni societarie e devono, quindi, dismettere quelle di cui siano già titolari. Per quelli fino a 50 mila abitanti, invece, viene consentita una sola partecipazione.
L’unica eccezione riguarda le società, con partecipazione paritaria o proporzionale al numero degli abitanti costituite da più comuni con popolazione complessiva superiore alle soglie demografiche minime. Altre deroghe sono state però introdotte dalla normativa successiva, che ha escluso anche le società con i conti in ordine (si veda la tabella). Sulla portata dell’obbligo, inoltre, si sono scatenate anche le sezioni regionali della Corte dei conti, con pronunce spesso contraddittorie che talora hanno esonerato qualsiasi società che gestisca servizi pubblici. A rendere ancora più nebuloso il quadro, è intervenuto, infine, il dl 95/2012, che all’art. 4 ha imposto di dismettere le società strumentali (ovvero quelle che realizzano almeno il 90% del fatturato con la p.a.). Ovviamente, ogni norma prevede scadenze diverse, tutte oggetto di ripetute proroghe: in origine, la dead-line era fissata per tutti i comuni al 31/12/2010, ora (per motivi incomprensibili) sono previsti termini diversi fino a 30 mila abitanti (appunto, 30/9/2013) e fra 30 mila e 50 mila (31/12/2014). Per le strumentali, invece, la data segnata sul calendario è (dopo l’ultima proroga) il 31/12/2013.
Ma se questo è tipico della convulsa evoluzione della legislazione italiana, la vera novità è rappresentata dalla previsione del potere sostitutivo nei confronti degli enti inadempienti operata dall’art. 16, comma 28, del dl 138/2011. È la prima volta, infatti, che i tentativi di disboscamento della giungla del «socialismo municipale» vengono rafforzati con il coinvolgimento degli uffici territoriali del governo. La questione è se i prefetti riusciranno, in mancanza di dati certi e completi sul numero e sull’entità delle partecipazioni detenute dai sindaci e ancor di più sulla situazione di bilancio delle relative società, ad esercitare effettivamente le loro prerogative. L’ultimo censimento, infatti, risale al 2012, allorché la sezione autonomie contò circa 2.500 società, delle quali oltre un terzo con bilanci in rosso. Da allora, però, è passato circa un anno e la crisi quasi certamente ha ampliato la platea. Gli ultimi dati dettagliati sui conti risalgono, invece, al 2011, quando la Funzione pubblica certificò un pesante -77% dei risultati di esercizio.
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