È il quiz di questi giorni: quante sono le società pubbliche? Se lo è chiesto il Parlamento, alle prese con la conversione del decreto 101 sulla pubblica amministrazione, in cui erano contenute anche norme per ricollocare il personale in esubero degli enti controllati da Stato ed enti locali. Quelle disposizioni, alla fine, sono state espunte e saranno ripresentate nella legge di stabilità. Uno dei motivi del ripensamento è proprio l’incertezza – come ha spietato Linda Lanzillotta, senatrice di Scelta civica, partito che più ha spinto per stralciare la norma dal decreto legge – sui confini della galassia delle partecipate.
Una stima della Corte dei conti le contava in 5.300. Invece, sono molte di più: sfiorano quota 8mila. Per l’esattezza – secondo i calcoli del ministero della Pubblica amministrazione, che può usufruire della propria banca dati Perla Pa – nel 2012 tra società e consorzi si arrivava a 7.771 enti. Un’enormità, dunque, anche rispetto alle previsioni dei giudici contabili. E quel che più stupisce – nonostante gli annunci di tagli e privatizzazioni che si susseguono ormai da anni (si veda il servizio nella pagina precedente – è che il numero è in crescita. E non di poco, perché dopo tre anni (2009, 2010 e 2011) in cui ci si è tenuti sulla soglia dei 7.100 enti, l’anno scorso l’incremento è stato dell’8 per cento.
Anche a voler tener conto di una percentuale di mancate risposte da parte delle pubbliche amministrazioni – che hanno l’obbligo di comunicare al ministero i dati sulle proprie partecipate, ma quel dovere non è sorretto da alcuna sanzione in caso di inadempienza – la cifra prefigura un universo vastissimo, finora in gran parte inesplorato, in cui c’è il sospetto (che ormai è una certezza) allignino non pochi sprechi.
Gli altri numeri della costellazione non fanno che confermare tale ipotesi. Si prendano i consigli di amministrazione, dove siedono più di 19mila persone, tra presidenti, amministratori delegati e consiglieri. Anche in questo caso, si è registrato un aumento, seppure di gran lunga più contenuto rispetto a quello degli enti: nel 2012, infatti, nei Cda ci sono state solo cinque poltrone in più.
Ma ciò che più dà la dimensione del fenomeno senza freni delle partecipate è il costo del personale. Finora non si aveva contezza di quanti zeri occorressero per scrivere la cifra relativa a stipendi, gettoni di presenza, indennità, emolumenti vari. Certo, non era difficile ipotizzare che – date le stime del numero degli enti – non bastassero le centinaia di migliaia. Ebbene, si va ben oltre: si superano i 15 miliardi di euro, oltre 14 per pagare le retribuzioni di chi lavora nelle società e poco più di uno per le buste paga degli addetti ai consorzi.
Ma la cifra è sicuramente sottostimata, perché in questo caso le pubbliche amministrazioni non hanno un obbligo di comunicare i dati all’archivio ministeriale. Quelle che lo hanno fatto è perché hanno raccolto l’invito di Palazzo Vidoni, che dall’anno scorso ha aggiunto la voce “costi del personale” nel modulo online che le amministrazioni devono compilare e rispedire al ministero.
Non è solo il numero complessivo a lasciare di stucco. Scorrendo i dati sulle spese per il personale ci si imbatte in situazioni che più di una perplessità la destano. Per esempio, l’azienda forestale della Regione Calabria dà lavoro a oltre 5.600 persone, per pagare le quali occorrono oltre 162 milioni di euro l’anno. Nella classifica dei consorzi, i forestali calabresi sono saldamente al primo posto, visto che il Csi (Consorzio per i sistemi informativi) del Piemonte ha a libro paga 1.171 persone, per le quali spende poco più di 66 milioni l’anno. Poco sotto c’è il consorzio milanese di servizi alla persona ex Pio Albergo Trivulzio, con 1.405 addetti e un esborso di quasi 600 milioni.
Le cifre diventano certamente più consistenti se si guarda al versante delle società. E non solo perché tra queste ci sono le grandi partecipate statali – come Eni, Rai, Enav e Anas – dove i numeri del personale sono a quattro o cinque zeri e i relativi costi sfiorano (quando non oltrepassano) il miliardo di euro. Nelle prime cinque società, però, si trova anche l’Atac, l’azienda per la mobilità di Roma, che impiega oltre 11mila persone e che deve iscrivere in bilancio 550 milioni di costo del lavoro. E sempre nella capitale c’è l’Ama, l’azienda per la raccolta dei rifiuti – anch’essa nei primi posti della classifica delle società – che impiega circa 8mila addetti, per una spesa di quasi 328 milioni di euro. Forse anche da quelle parti si può trovare una spiegazione alla voragine dei conti capitolini.
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