È rimasta in piedi per meno di ventiquattr’ore l’ipotesi di un accordo tra il Pd ed il Pdl per la vendita di bar, ristoranti e stabilimenti balneari collocati nelle aree demaniali. L’emendamento di nove senatori del Pd alla legge di Stabilità, quasi identico a quelli presentati dal centrodestra, che con la privatizzazione di queste aree puntava a raggranellare tra i 3 e i 4 miliardi per rafforzare gli sgravi fiscali, è stato ritirato ieri sera, dopo la netta presa di posizione contraria del ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, dello stesso Pd.
«La sdemanializzazione di porzioni del litorale è politicamente inaccettabile e tecnicamente sbagliate» ha detto Orlando, pochi minuti prima che l’emendamento dei senatori pd venisse ritirato. Manuela Granaiola, prima firmataria dell’emendamento, lo aveva difeso a spada tratta fino a poche ore prima. «Si può essere o non essere d’accordo, ma non si possono sparare giudizi o attacchi grossolani, dettati dall’ignoranza della materia, dalla pigrizia mentale e da vetusti, quanto nocivi, preconcetti e pregiudizi» aveva detto la senatrice, spiegando che l’operazione serviva solo a fare chiarezza e non a vendere gli arenili.
Fatto sta che l’asse balneare Pd-Pdl si è già rotto. Come si era infranto, in tempi altrettanto fulminei, quello fiscale che puntava ad estendere la “no tax area” a 12 mila euro, cassato senza riserve dal ministero dell’Economia perché costerebbe un’enormità. E nonostante l’ottimismo del Pdl su altri possibili terreni d’intesa sulle modifiche alla legge di bilancio, il centrosinistra frena. Secondo il relatore della legge di Stabilità del Pdl, Antonio D’Alì, ad esempio, ci sarebbe la possibilità di «raggiungere con il Pd dei buoni punti di incontro» anche sulla rottamazione delle cartelle esattoriali di Equitalia. «Assolutamente prematuro. Sono conclusioni in alcun modo attinenti ai fatti» replica secco l’altro relatore, del Pd, Giorgio Santini.
L’intesa politica su come trovare maggiori risorse da utilizzare nel 2014 per il rilancio dell’economia è dunque lontanissima. E così la prospettiva di un rafforzamento del taglio del cuneo fiscale. Il Pd vorrebbe almeno raddoppiarli rispetto alla proposta del governo, prevedendo uno sgravio che può arrivare anche a 380 euro annui lordi, ma servirebbero due miliardi di euro in più rispetto a quelli disponibili.
Anche il Pd punta al rafforzamento degli sgravi sul lavoro, ma ragiona a saldi invariati, immaginando di concentrare il bonus da 1,7 miliardi solo sui redditi più bassi, quelli fino a 22.500 euro lordi annui. Semmai si trovassero, preferibilmente con il piano per il rimpatrio dei capitali e la rivalutazione della partecipazione delle banche alla Banca d’Italia, le risorse aggiuntive dovrebbero servire, secondo il Pd, per alleggerire la manovra sulle pensioni.
L’esame degli emendamenti è appena iniziato e durerà qualche giorno. Il governo segue da vicino i lavori, ma per il momento resta alla finestra. «Auspichiamo la riduzione degli emendamenti sulla base di autonome valutazioni dei gruppi. Poi vedremo se presentare, come governo, pochi emendamenti» spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanni Legnini. Intanto un’indagine della Cisl sul fenomeno del «fiscal drag» ha mostrato come il mancato adeguamento delle aliquote alla perdita del potere d’acquisto tra il 2007 e il 2012 abbia determinato un minor reddito disponibile, per circa 1.040 euro.
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