Il maxiemendamento alla legge di stabilità votato al Senato ha salvato i Comuni fino a 50mila abitanti, che entro il 30 settembre avrebbero dovuto dismettere una buona fetta delle loro partecipazioni ma si sono visti cancellare ex post l’obbligo. Con lo stesso correttivo, però, il Governo prova a mettere sotto controllo i risultati delle società comunali, e a ingabbiare le perdite con una regola che rischia di essere durissima per molte città, soprattutto (ma non solo) al Centro-Sud.
Il problema affrontato dalla nuova regola è quello dei bilanci in perdita. In pratica, i Comuni proprietari di società con i conti che zoppicano dovranno “congelare” nei propri bilanci una somma per “coprire” il rosso della società. All’inizio questo fondo di garanzia coprirà solo una parte della perdita (maggiore se le società sono in rosso nella media del triennio, e non solo nell’ultimo anno), ma a regime quando una società perde 100 il Comune dovrà “congelare” 100. L’obiettivo è duplice: imporre ai sindaci di accantonare una quota di risorse per evitare che sia qualcun altro a dover intervenire quando è troppo tardi, e penalizzare le gestioni in perdita spingendo le amministrazioni locali a rimediare o vendere. Chi dovrà accantonare molte risorse, infatti, avrà due alternative per coprire le proprie spese: ridurle, o trovare nuove entrate, a partire dalla leva fiscale.
Dove colpirà di più la nuova regola. Guardando i bilanci 2012, gli ultimi chiusi, la prima “indiziata” è naturalmente la Capitale, dove pesano in particolare i magrissimi risultati dell’Atac, la società dei trasporti: nel 2012 ha perso 156 milioni, ma soprattutto nel 2013 le stime attendono una voragine che può arrivare a 200 milioni di euro (si veda Il Sole 24 Ore del 22 novembre). I trasporti, come raccontano le cronache delle ultime settimane, sono la nota dolente anche a Genova, dove il Comune ha già messo mano più volte alle proprie casse (oltre 30 milioni negli ultimi tre anni) ma l’azienda ha perso 10 milioni nell’ultimo bilancio. A Napoli la situazione degli squilibri è più articolata: secondo l’ultimo monitoraggio sulle partecipate, allegato al preventivo 2012 con i risultati dell’esercizio 2010, il rosso di MetroNapoli (4,9 milioni) si accompagna ai 10,3 milioni persi da Bagnoli Futura, ai 4,7 lasciati per strada dal Centro Agroalimentare, ai 3,8 sfumati alle Terme di Agnano e così via. A Palermo l’Amia, la società dei rifiuti, è fallita dopo aver aperto negli anni una voragine da quasi 200 milioni e la Rap, l’azienda che l’ha sostituita, vede già i costi volare più alti dei ricavi (11 milioni, secondo i conti presentati ai sindacati), mentre la Gesip ancora lotta per salvare i suoi 1.800 lavoratori.
Lontano dai grandi centri, i numeri assoluti sono meno significativi, ma il loro peso dipende ovviamente dalle dimensioni del Comune e del suo bilancio. Il problema, però, investirà molti, visto che secondo la Corte dei conti una partecipata su tre ha chiuso in perdita nell’ultimo triennio.
Ma non ci sono solo i Comuni nel raggio d’azione delle nuove regole, che guarda alle partecipate di tutte le amministrazioni pubbliche. A fare i conti sui possibili effetti, quindi, ci sono anche le Regioni, e anche qui la geografia del problema guarda soprattutto a Sud: alla Campania, in particolare, che secondo l’ultimo censimento condotto nel 2012 dalla Corte dei conti sulle società regionali accumula addirittura un passivo da 107 milioni nel “consolidato” di tutte le partecipate.
Tornano, ma in chiave più futuribile, anche le regole taglia-manager per aziende, istituzioni e società in house che non riescono a portare almeno in pareggio i conti. Dal 2015, chi ha chiuso gli ultimi tre anni in rosso si vedrà alleggerire il compenso del 30%, ma basteranno due esercizi negativi consecutivi per rischiare direttamente il posto. Dal 2017, poi, le in house che colorano i conti di rosso per quattro anni di fila andranno liquidate.
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