I problemi legati agli aumenti dell’Imu sull’abitazione principale non tramonteranno con il 2013 e nemmeno con la «mini-Imu» in programma per il prossimo 16 gennaio. Lo sostengono i calcoli dell’Ifel, la fondazione per la finanza locale dell’Anci (l’associazione dei Comuni), secondo cui per pareggiare i conti nel 2014 Milano, Brescia e Catania dovrebbero stabilire una Tasi effettiva sull’abitazione principale vicina al 4 per mille, Torino e Messina si dovrebbero fermare poco sotto al 3,5 per mille mentre Roma, Napoli e Bologna dovrebbero attestarsi tra il 2,5 e il 3 per mille: ipotesi impossibili nel 2014, perché la legge di stabilità pone al nuovo tributo sui servizi locali un tetto massimo al 2,5 per mille, ma non dal 2015 perché in quell’anno i limiti tornano a essere quelli dell’Imu (quindi, sull’abitazione principale, il 6 per mille): una prospettiva che, se si traducesse in pratica, solleverebbe più di un problema perché la Tasi effettiva (al netto cioè di eventuali detrazioni) al 2,5 per mille si rivelerebbe più pesante dell’Imu per molte abitazioni, soprattutto quelle di valore fiscale medio e basso.
I numeri sono stati presentati ieri dall’Anci per sostenere la richiesta di base dei sindaci: per far partire la Tasi senza rischiare di pesare troppo sui cittadini replicando gli effetti delle detrazioni Imu, servono 1,2-1,5 miliardi in più, altrimenti si rischia di andare incontro, soprattutto nelle grandi città, a super-aumenti della pressione fiscale sulla prima casa senza nemmeno riuscire a pareggiare le risorse perse con l’Imu. «Approfondiremo questi numeri – risponde il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta -, ma dobbiamo tener conto che non partiamo da zero: il Governo ha già messo 1,5 miliardi tra fondo di solidarietà comunale e stanziamenti per le detrazioni, senza operare tagli. Bisogna riconoscere questo cambio di rotta e ragionare sulla flessibilità delle aliquote».
Quando si discute la legge di stabilità, naturalmente, i numeri servono anche a sostenere le varie posizioni negoziali. Ma il problema è serio anche per il peso politico assunto dal fisco sulla casa nell’eterno dibattito sull’Imu. Nella relazione tecnica che accompagna la legge di stabilità, i conti complessivi del passaggio da Imu a Tasi pareggiano ad aliquota standard. L’abbandono dell’imposta municipale costa circa 3,8 miliardi, dati dai 3,4 di gettito al 4 per mille e dai 400 milioni di detrazioni per i figli previste solo fino al 2013, e la stessa somma arriva dal nuovo tributo con aliquota all’1 per mille. Mentre il miliardo della maggiorazione Tares (che nel 2013 è stato compensato ai Comuni) è coperto dal miliardo “aggiuntivo” dato dalla legge di stabilità al fondo di solidarietà comunale. Ma molti Comuni, e tra questi quasi tutte le grandi città (ad eccezione di Firenze), tra l’anno scorso e quest’anno sono arrivati molto sopra l’aliquota standard dell’Imu, e per mantenere le entrate allo stesso livello dovrebbero cercare le nuove risorse nella Tasi. Lontano dall’abitazione principale, poi, le amministrazioni locali sostengono che la stessa applicazione del tributo all’1 per mille è a rischio, perché il limite alla somma di Tasi più Imu è al 10,6 per mille (era all’11,6 per mille prima del maxiemendamento), vale a dire a un livello già raggiunto quest’anno dalla sola Imu in 922 Comuni, in cui si contano 55 capoluoghi di Provincia e 22 milioni di abitanti. In queste città, secondo l’interpretazione data anche dai sindaci di una regola che per il solo 2014 non è chiarissima (si veda anche Il Sole 24 Ore del 27 novembre), dagli altri immobili non potrebbe arrivare un euro in più, per cui tutto lo sforzo fiscale si concentrerebbe sull’abitazione principale. Non solo: in 257 Comuni (8,1 milioni di abitanti) l’aliquota massima dell’Imu sugli altri immobili si accompagna a una richiesta sull’abitazione principale che ha superato il 5,3 per mille e di conseguenza, in base alle stime Ifel-Anci, nemmeno una Tasi al massimo porterebbe il sindaco a pareggiare i livelli di entrata.
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