Pagamenti Pa, sei su dieci sforano i sessanta giorni

Nuovi tempi aggirati: dossier a Bruxelles

Il Sole 24 Ore
13 Gennaio 2014
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Nel 62% dei contratti pubblici i tempi di pagamento sforano i termini di legge e vanno oltre i 60 giorni, mentre, in un appalto su due l’amministrazione pubblica “suggerisce” all’impresa di rallentare l’emissione delle fatture, in modo da diluire anche i saldi.

A un anno di distanza dall’arrivo delle nuove regole che impongono pagamenti a 30 giorni (e, solo in casi eccezionali, fino a un massimo di 60), sono ancora poche le amministrazioni che si sono allineate e riescono a pagare nei tempi stringenti richiesti dalla direttiva europea e dal decreto italiano di recepimento (Dlgs 192/2012), in vigore, appunto, per i contratti firmati dal primo gennaio 2013.

I primi numeri arrivano dal monitoraggio dei costruttori dell’Ance sui lavori pubblici, ma basta ascoltare anche le altre categorie di fornitori della Pa per capire che il problema è identico e in alcuni casi anche più diffuso.

La maglia nera resta alla Sanità (225 giorni di ritardo, si veda l’articolo a fianco), mentre in edilizia i tempi medi di attesa si attestano a 146 giorni (con una prima diminuzione proprio nel 2013). Ben oltre i due mesi consentiti.

In realtà, a leggere i bandi di gara di questo primo anno, le amministrazioni sembrano essersi allineate alle nuove regole. Ma, spesso, l’adeguamento si ferma all’avviso pubblico, mentre nel rapporto diretto con il fornitore si moltiplicano i tentativi di aggiramento dei tempi. Come ha fotografato l’Ance, si va, appunto, dalla richiesta di dilazione inserita apertamente nel contratto, al consiglio di scaglionare le fatture (48%) fino al più temibile esito negativo: la rinuncia alla commessa, una volta che l’amministrazione ha capito di non riuscire a stare nei tempi (9% dei casi).

Spesso l’impresa non ha mezzi per difendersi: «Il pagamento degli interessi, per esempio, non è mai automatico – spiega il presidente Ance, Paolo Buzzetti – e bisogna sobbarcarsi gli oneri di una richiesta a parte».

Anche nei servizi si registrano prassi elusive. Mentre prima la fatturazione dei servizi aveva spesso cadenza mensile, molte amministrazioni ora – denuncia la Federazione delle imprese di servizi (Fise) – tendono a introdurre nei capitolati di appalto clausole che vincolano l’appaltatore ad emettere le fatture con sistematico differimento rispetto al periodo di esecuzione delle prestazioni: si parla di tre o quattro mesi. «Con l’effetto paradossale – spiega il segretario Lorenzo Gradi – di rallentare potenzialmente i tempi anche a chi prima era virtuoso e pagava davvero a 30 o 60 giorni».

Già perché qualche ente in grado di rispettare i patti esiste. Per l’Aniasa, ad esempio (l’associazione degli autonoleggiatori) «il 50-60% delle amministrazioni è corretto». Ma i ritardi (solo il Comune di Napoli deve alla categoria 2 milioni e ne ha sbloccati 1,5) hanno spinto l’associazione a dialogare con Consip e ottenere la possibilità di interrompere il servizio ai morosi (si veda il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2013).

Per le aziende di recapito privato, il mercato è diviso in due. Precisa Luca Palermo, alla guida della Are (associazione recapito espressi): «Al Nord dall’anno scorso i pagamenti a 30, 60 giorni sono diventati la prassi mentre al Sud purtroppo i ritardi sono ancora la regola». Solo dalle società partecipate dalla Regione Sicilia i concorrenti di Poste attendono da 18 mesi «diverse decine di milioni».

A novembre erano stati sanati 16,9 miliardi di debiti arretrati. «In effetti i pagamenti ci sono stati e anche in tempi brevi» riconosce Buzzetti. «Ma ora ci siamo di nuovo fermati e se non si interviene a breve rischiamo di trovarci di nuovo con un anno di ritardo».

A distanza di quattro mesi dalla scadenza (5 settembre) non si è ancora concluso il censimento degli arretrati. Le amministrazioni stanno ancora caricando i debiti pregressi sulla piattaforma di certificazione dei crediti. Questo ritardo rischia di vanificare anche la nuova possibilità di compensare i crediti fiscali con i debiti Pa (si veda il Sole 24 Ore del 7 gennaio): senza registrazione, infatti, il credito è come se non esistesse.

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