Alla meta arrivano in pochi, pochissimi. Soltanto il 5% delle imprese e dei fornitori che si sono visti riconoscere e certificare un credito da una pubblica amministrazione è riuscito a trasformarlo in “moneta sonante”, ovvero a cederlo alle banche. Molti di meno, poi, quelli che hanno scelto la via della compensazione tra il credito e i propri debiti tributari e contributivi: appena lo 0,3% del totale dei debiti certificati – e quindi abilitati alla compensazione -, secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia al Sole 24 Ore.
In pratica sui 2,4 miliardi di crediti certificati (su istanza dei privati o direttamente dalla Pa, si veda l’ultima colonna della tabella a fianco) e non ancora pagati, solo 139 milioni (appunto il 5%) sono quelli per i quali la cessione alle banche e alle società di factoring è andata a buon fine. Mentre praticamente nullo – solo 8 milioni – è l’importo che le imprese sono riuscite a scalare da propri debiti con lo Stato.
Che l’impresa di trasformare anche i crediti riconosciuti in liquidità fosse ardua lo aveva segnalato da mesi l’Ance. «Le difficoltà nella fase di rilascio (della certificazione, ndr) si sommano a quelle relative alla ricerca di istituti finanziari disponibili a fare operazioni di smobilizzo, in particolare quelle di cessione del credito (prosolvendo o pro-soluto)» avevano scritto i costruttori al commissario Ue, Antonio Tajani, a settembre. A fine anno, poi, l’Ance ha chiesto direttamente agli imprenditori come hanno fronteggiato il problema dei ritardi dei pagamenti. Ebbene in pochi sono riusciti a concludere operazioni di cessione pro-soluto e pro-solvendo (18%). «La maggior parte (il 72%) – si legge nell’ultima analisi congiunturale – ha chiesto un anticipo di fatture in banca». Altri, il 22% (le risposte erano multiple), sono ricorsi allo scoperto sempre in banca o al finanziamento a breve, sempre in banca (20%). E dopo aver atteso a lungo la certificazione, difficile credere che in molti abbiano preferito comunque aspettare il saldo dalla Pa piuttosto che liberarsi del fardello in banca.
I dati dell’Economia confermano quello che le stesse associazioni di categoria hanno spesso segnalato: lo smaltimento dei debiti Pa viaggia a due velocità. C’è una parte dell’arretrato ormai emerso e pagato in tempi ristretti. In dieci mesi, da aprile a febbraio, sono stati saldati 22,4 miliardi di debiti, con il «bollino» della Ragioneria dello Stato chiamata a controllare che il pagamento di ogni ente si verifichi davvero nei 30 giorni dall’arrivo delle risorse, come richiede il decreto 35/2013.
C’è, invece, un’altra parte di crediti incagliata. A valle, appunto, perché i fornitori non riescono a cedere agli intermediari finanziari il credito. Ma anche a monte. Già, perché le imprese hanno chiesto di certificare 2,85 miliardi e ne hanno ottenuti invece per 1,15. Ci sono dunque 1,7 miliardi (60%) bloccati al primo passaggio.
Tutte domande irricevibili? Al contrario, secondo i dati del Mef, solo 692 milioni appartengono alla categoria dei debiti «insussistenti o inesigibili». Resta un buco nero di un miliardo (35%), per ammissione stessa del Mef «rimasto senza risposta», nonostante la possibilità di chiedere il commissario ad acta. Ai fornitori, purtroppo, il problema è ben noto. «Ci sono imprese che aspettano da otto mesi» ha riferito l’Ance a Tajani, puntando il dito contro «l’assenza di sanzione in caso di ritardato rilascio». Anche per i commissari. L’unica strada quindi, secondo i costruttori, «è la certificazione automatica dei crediti».
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